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27 maggio 2018

da "Sotto le ciglia chissà" - Fabrizio De André

Vincent Van Gogh - Paesaggio
da "Sotto le ciglia chissà" - Fabrizio De André
 

L’amore per la terra me lo porto nel sangue da quando ero bambino. D’estate si andava in campagna dalla nonna, vicino ad Asti. Era una donna straordinaria, dopo la morte del marito aveva preso in mano l’azienda di famiglia e teneva tutto sotto controllo con l’autorità e la saggezza di un vecchio fattore. Tra noi c’è sempre stata una sorta di simbiosi. Da lei ho ereditato l’attaccamento viscerale a tutto ciò che è natura, dal fungo al trifoglio, dal passero alla lucertola. Di quel periodo magico ricordo i grandi spazi, e chiacchierate coi contadini, i racconti di caccia, l’odore dell’erba bagnata.
Avevo 12 anni e mi alzavo all’alba per andare a seguire le tracce del tasso, scavavo con la zappa per trovare le tane. Certe esperienze lasciano il segno, uno se le porta dentro per tutta la vita. Ma è anche una questione di carattere; mio fratello, per esempio, si metteva a piangere ogni volta che andavamo via da Genova per trasferirci in campagna. Bastava che un cane abbaiasse per fargli rizzare i capelli in testa.

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