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22 maggio 2018

Il Gattopardo - Giuseppe Tomasi di Lampedusa

Clara Peeters - Tavola
Il Gattopardo - Giuseppe Tomasi di Lampedusa  

  
L’oro brunito dell'involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava, non era che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroni corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio. L’inizio del pasto fu, come avviene in provincia, raccolto. L’arciprete si fece il segno della croce, e si lanciò a capofitto senza dir parola. L’organista assorbiva la succolenza del cibo ad occhi chiusi: era grato al Creatore che la propria abilità nel fulminare lepri e beccacce gli procurasse talvolta simili estasi, e pensava che col solo valore di uno di quei timballi lui e Teresina avrebbero campato un mese; Angelica, la bella Angelica, dimenticò i migliaccini toscani e parte delle proprie buone maniere e divorò con l’appetito dei suoi diciassette anni e col vigore che la forchetta tenuta a metà dell’impugnatura le conferiva. Tancredi, tentando di unire la galanteria alla gola, si provava a vagheggiare il sapore dei baci di Angelica, sua vicina, nel gusto delle forchettate aromatiche, ma si accorse subito che l’esperimento era disgustoso e lo sospese, riservandosi di risuscitare queste fantasie al momento del dolce; il Principe, benché rapito nella contemplazione di Angelica che gli stava di fronte, ebbe modo di notare, unico a tavola, che la démi-glace era troppo carica, e si ripromise di dirlo al cuoco l’indomani; gli altri mangiavano senza pensare a nulla, e non sapevano che il cibo sembrava a loro tanto squisito perché un’aura sensuale era penetrata in casa.

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