Marc chalme - les arbres
da "Kitchen" - Banana
Yoshimoto
(…)
Ma
non potevo andare avanti così per sempre. E’ incredibile, la realtà.
La
nonna mi aveva lasciato denaro a sufficienza, ma l’appartamento in cui abitavo
era troppo grande e costoso per una persona sola, bisognava che ne cercassi un
altro.
non
sapendo dove battere la testa comprai una rivista di annunci e cominciai a
guardarla, ma le offerte di case, che erano tante e sembravano tutte uguali, mi
diedero il capogiro. Trasloco significava lavoro. Energia.
io
ero senza forze e avevo dolori dappertutto per quel mio dormire sul pavimento
di cucina. non potevo far finta che non fosse così. Dove avrei trovato
l’energia per andare in giro a vedere appartamenti? per trasportare bagagli?
per richiedere il telefono?
Ricordo
bene quel pomeriggio, me ne stavo sdraiata pensando con disperazione a una
lista interminabile di problemi quando mi capitò un miracolo, qualcosa caduto
dal cielo.
Din-don.
All’improvviso suonò il campanello.
Era
un pomeriggio un po’ nuvoloso di primavera. Avevo dato solo una sbirciata alla
rivista di annunci, ma ne avevo avuto subito abbastanza, ed ero assorbita
dall’operazione di legare con lo spago alcuni giornali in vista dell’eventuale
trasloco. Sorpresa corsi alla porta così com’ero, vestita a metà, e senza
chiedere chi fosse girai la chiave ed aprii. Per fortuna non era un ladro, era
Yuichi Tanabe.
“Ah”,
salve. Grazie ancora per l’altro giorno,” dissi. Era un ragazzo simpatico, di
un anno minore di me. Al funerale era stato di grande aiuto. Mi aveva detto che
studiava alla mia stessa università. Io in quei giorni non ci andavo.
“Figurati,”
disse lui. “Già trovato l’appartamento?”
“Macché.
Ancora niente,” risposi io e sorrisi.
“Beh,
non è facile.”
“Vuoi
entrare a bere qualcosa?”
“No,
grazie, vado di fretta,” disse, e sorrise. “Sono salito solo un attimo per
dirti una cosa. Ho parlato con mia madre e… non verresti a stare da noi per un
po’?”
“Cosa?”
feci io.
“In
ogni caso, vieni da noi stasera verso le sette. Ti ho fatto una mappa per
trovare la strada.”
“Ah.”
Confusa presi il pezzo di carta.
“Allora,
d’accordo. Mikage, io e mia madre siamo davvero contenti che tu venga. Ti
aspettiamo.”
Sorrise
di nuovo. C’era nel suo sorriso una tale freschezza che non riuscivo a staccare
lo sguardo da lui. I suoi occhi mi sembravano vicinissimi mentre stava lì, in
quell’ingresso che mi era così familiare. Ma doveva essere anche il fatto di
sentirmi chiamare per nome all’improvviso.
“Hmm…
allora va bene, vengo.”
Lo
so, poteva essere l’insidia di un diavolo. Ma lui era così cool. Sentii che potevo fidarmi. Nell’oscurità che mi circondava
apparve una strada, come sempre accade quando un diavolo ti tenta. Ma era
bianca, luminosa, e sembrava sicura, perciò risposi sì.
“Bene, allora a più
tardi,” disse lui sorridendo, e se ne andò.(...)
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