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15 giugno 2018

da “L'assaggiatrice” - Giuseppina Torregrossa

Joachim Anthonisz. Wtewael (Dutch - Marte e Venere sospresi dagli dei
da “L'assaggiatrice” - Giuseppina Torregrossa
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La zà Rosa oggi ha gana di parlare, strano, da quando è rimasta vedova è muta e arcigna, con la bocca inchiavardata. Bonina mi fa segno con il dito di stare zitta, le si avvicina e “Zà Rosa, un pochino di vino che porta bene alla zita”.
La vecchia non è al primo bicchiere, forse per questo parla a ruota libera: “picciò, quaccheccosa mi avevano detto, ma che ne potevo sapere che la prima notte avrei goduto così, subito, assai e senza penare. mio marito, che tanto esperto non era, non riusciva a farsene una ragione, pensava che qualcuno prima di lui mi avesse istruito bene; non capiva che io ero una maestra per natura e lui di questa mia arte ne voleva conto e soddisfazione! Ho dovuto giurare su tutte l’anime morte della mia famiglia che nessuno mai mi aveva toccato prima di lui e come lui. Di primo acchitto se ne voleva andare, poi, pensando di fare la figura del cornuto, aveva lasciato perdere. Alla fine, siccome gli piaceva assai come lo toccavo e come… Và, non me lo fate dire”, fa un gesto con una mano e tutte ci mettiamo a ridere, “insomma dopo la prima notte non poteva più stare lontano dal mio letto e così si è rassegnato a passare tutta la vita con me. Ma ogni volta che si addormentava sopra alle minne mie, poi me lo faceva pagare a caro prezzo! In vecchiaia non ne parlava più del mio amante segreto. Ma in punta di morte mi ha chiesto per l’ultima volta se era vero che lui era stato il primo. Siccome mi aveva tormentato tutta la vita, geloso e malfidato com’era, la soddisfazione me la sono voluta levare, tanto non mi poteva fare più niente, così gli ho risposto: “No, Totò, sei stato il terzo”. La faccie gli è diventata nivura nivura! E’ morto soffocato dalla parola buttana che gli è rimasta ferma nel gargarozzo. Non mi sono mai pentita: e poi pure il parrino mi ha asolta, in fondo è l’unica farfantaria della mia vita”.
Nella cucina c’è un silenzio, manco a farla apposta, di tomba; è la prima volta che la zà Rosa parla di suo marito e di se stessa. Siamo rimaste tutte impressionate, altro che matrimonio, pare un funerale.
Tocca a me, la sposina, sciogliere l’imbarazzo che ha raggelato l’aria di festa: “ E no, zà Ro’, a me non può capitare; Gaetano già mi ha assaggiata, dice che sono dolce come la marmellata di zucchine e morbida come la pasta messa a lievitare, e poi mi dice che più mi assaqgia e più mi vuole mozzicare. Insomma non ho aspettato dio maritarmi per fare quelle cose, così sorprese non ce ne saranno”.
“Ancilu’!”, grida mia madre e ha una faccia preoccupata come quando Pietruzzo ha avuto la polmonite.
Forse era meglio che stavo zitta. Ma i tempi sono cambiati, anche la Sicilia è diventata moderna, e se alla zà Rosa ci piaceva assai fottere ma non lo poteva dire, io che mi piace pure assai, sono invece libera di dirlo.
Domani mio marito…
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