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15 giugno 2018

da “Le ribelli di Dio” – Adriana Valerio

Hans Baldung Grien - le tre grazie
da “Le ribelli di Dio” – Adriana Valerio
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La narrazione biblica

La creazione
Due racconti di due tradizioni diverse, scritti in epoche diverse, tramandano antiche memorie.
Il primo (Gen 1,1-2,4a) ci parla con afflato poetico di un Dio che, attraverso la su Ruah (forza vitale, Sapienza che aleggia e cova il mondo nascente), crea l’universo in maniera completa (“sette giorni”, con il riposo), con atto libero e con la forza della sola parola (“disse”) e per una scelta d’amore (“e vide che era buono”). In un crescendo di progressione creatrice, Dio crea l’umanità come stadio di maggiore complessità (“creò l’essere umano a sua immagine”): una umanità, però differenziata (“maschio – ish – e femmina – issahah – li creò”, ma sempre e interamente a sua immagine. A entrambi, uomo e donna, al centro della creazione, viene affidato il compito di popolare la terra e autorevolmente custodirla.
La seconda narrazione (Gen 2,4b-3,24) appartiene a una tradizione più antica che tradisce maggiormente l’ambiente patriarcale nel quale è stata elaborata. Al centro del giardino di Eden è collocato l’uomo, nato dalla polvere (Adamo = terroso), animato dal soffio vitale di Dio (Ruah). Ma l’uomo è solo e non si riconosce negli animali: ha bisogno di qualcuno con il quale entrare in comunione. Ed ecco perché, con la plasticità dei racconti antichi, prende corpo la descrizione della nascita di Eva (“che suscita vita”). Con un processo di nascita che appare invertito (non è forse la donna che partorisce l’uomo?), Adam0 mette al mondo Eva (“Dio formò, dal lato che aveva tolto all’uomo, una donna”). e in lei si ritrovava: “Questa volta è osso delle mie ossa, carne della mia carne”. Nel reciproco faccia a faccia, l’uomo riconosce nella donna l’identità strutturale e l’essere umano si percepisce nella differenza come uomo e donna.

La caduta (il peccato delle origini)

La donna, secondo stereotipi che troviamo anche in altre culture, da compagna dell’uomo diventa tentatrice.
Sedotta dal male – il serpente – che le indica la possibilità di diventare come Dio, immortale e arbitra della morale (decidere ciò che è bene e ciò che è male), coinvolge Adamo in questo inganno facendo mangiare all’uomo dall’albero della conoscenza il frutto proibito da Dio. le conseguenze di questa trasgressione saranno l’inimicizia tra i due sessi e la subordinazione della donna (“egli ti dominerà”), i dolori della maternità, la fatica del lavoro dell’uomo e la morte, infine.
E’ evidenti che qui ci troviamo davanti a un racconto eziologico che cerca di dare una risposta all’esistente. Ma il mito riflette anche la visione androcentrica del redattore che tende ad addossare alla donna la responsabilità della scelta, punendola con maggiore durezza rispetto all’uomo.
Anche se narrati da un punto di vista maschile, i racconti fanno emergere, comunque, che la disuguaglianza tra i sessi non appartiene all’ordine divino, giacché Dio ha creato ciascuno a sua immagine. Così come il dolore del parto per la donna – o la fatica del lavoro per l’uomo – è un’amara constatazione dell’esistente, non una punizione di Dio.
cosa significano dunque questi tre capitoli?
Essi non vogliono narrare una storia in senso moderno, come cronaca dettagliata di avvenimenti, ma solo presentare, con un linguaggio mitico, l’orizzonte della fede nel quale collocare la nostra vita.
La messa in scena dei protagonisti della storia umana, Dio, L’uomo, la donna e il male, costruisce una trama narrativa che, partendo dai limiti segnati dalla condizione naturale (dolore, conflitti, morte), conduce a un messaggio di speranza e diviene prospettiva creaturale secondo la quale Dio, sempre e comunque, nonostante tutto, ama, alimenta e difende la vita.
Dio chiama alla vita: il cosmo e tutta la natura sono realtà positive e l’umanità, creata a immagine di Dio e posta al centro di tutto il creato, è chiamata, nella libertà a esserne responsabile, rendendo possibili novità di vita: per questo motivo l’azione creatrice è continua, grazie alle nostre azioni in continua tensione verso la realizzazione di sempre nuove relazioni di amore.
L’ambigua risposta umana: il racconto, riflettendo sulla reale e drammatica condizione umana, non si esime dal sottolinearne le ambiguità. L’intera umanità (Adamo ed Eva), nel momento in cui si sottrae al flusso dell’energia vitale originaria, rompe la sintonia con Dio; volendo disporre del potere e delle vita procura una serie di fratture tra sé e Dio e anche al suo interno tra l’uomo e la donna e tra gli essere umani fra loro: Caino ucciderà il fratello Abele e la violenza si affermerà nel mondo in un crescendo vorticoso.
Dio è premuroso: nonostante tutto, Dio continua ad avere cura del genere umano (“fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelle e li vestì”, Gen 3,21), non ripudia Caino che uccide il fratello (4,15), anzi lo protegge e, anche davanti a una crescente decadenza, non rinuncerà a stringere con l’umanità nuove alleanze: prima con Noè (Gen 6-9), poi con le genti (Gen 12 sgg.). Dalla preistoria mitica si passa all’epopea del popolo ebreo.

Il significato religioso che attraversa il testo sacro non è, dunque, un messaggio di condanna o di perdizione, ma, piuttosto, è l’annuncio di fede nella presenza di un dio che accompagna la nostra vita anche nel male. Una fede che non è obbligatoria, ma frutto di scelta. Quando l’essere umano decide di appropriarsi della conoscenza del bene e del male – il cosiddetto “peccato delle origini” - , si lascia sedurre dall’ebbrezza del potere, che genere, però, violenza e subordinazione. In quanto decisione, la fede nel Dio della creazione è possibilità sempre aperta: per questo il “peccato” non marchia inesorabilmente e negativamente la nostra natura. Resta più forte la certezza di un Dio presente che non abbandona e che offre all’umanità continue possibilità di vita creativa da trasmettere e condividere. Il bene trionferà sul male.
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