Gustav Klimt - La danzatrice
da “Le ribelli di Dio” – Adriana Valerio
(…)
Il potere delle donne che non hanno potere
In Eva si è voluto vedere il potere della seduzione che coinvolge l’uomo nel peccato: lei, anche se nella debolezza della sua natura, conduce alla morte. Per questo il potere della donna è da controllare e, soprattutto, da piegare: la maternità non sarà forza, ma dolore; il desiderio di autonomia si tramuterà in sottomissione. La sua colpa sarà resa visibile nella subalternità e nella sofferenza del parto: troverà riscatto solo in una vita di silenzio e di servizio all’uomo, in una vita di dedizione nobilitata dalla sola maternità.
La donna impari in silenzio, in tutta sottomissione. non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non Adamo fu ingannato, ma fu la donna che, ingannata, fu colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia. (1Tm 2, 11-15)
In questa lettera che un discepolo di Paolo rivolge a Timoteo, cioè a cristiani di seconda generazione, Eva è letta in chiave letterale, prototipo di tutte le donne che devono pagare per la colpa di lei. Ci sono tutti i presupposti di quella che sarà la teologia del peccato e che vedrà la donna responsabile in prima persona di un debito infinito davanti a un Dio offeso e punitivo.
Eppure, al contrario di quello che pensavano gli antichi, Eva non è un personaggio storico.
Eva è, piuttosto, una rappresentazione simbolica dell’umano alla ricerca di una propria autonomia; quindi è priva di fondamento l’accusa di un’offesa a Dio di un’azione che non c’è mai stata nella sua individualità.
Inoltre, in questa narrazione emerge anche la forza di questa figura femminile. Eva, infatti, è la protagonista, non Adamo, che appare passivo e infantile. E’ lei l’esito dell’evoluzione positiva e complessa della creazione. E’ lei che ricerca la conoscenza, che esercita la libertà, anche di trasgredire, acquisendo un alto livello di autonomia. E’ che sperimenta i limiti della condizione umana e che più di ogni altro vivrà sulla propria pelle la sofferenza e il male. E’ che dà origine alla storia, immettendo nel mondo della vita il dolore della nascita e la solitudine della morte, il peso del lavoro e la drammatica conoscenza della differenza tra bene e male. E’ lei la madre di tutti i viventi, portatrice di conflitti, ma anche di cultura, di identità e di differenza.
Il suo è il potere della vita.
Curiosità
Tradizioni dei testi e traduzioni
I racconti della creazione hanno dato luogo a infinite possibilità di analisi e di interpretazioni, sia perché i racconti sono due, che attingono a diverse tradizioni (sacerdotale del VI sec, a.C. e Jahvista del X sec. a. C.) non facilmente armonizzabili, sia per la difficoltà di riconoscere e decifrare il linguaggio simbolico, sia, infine, per le difficoltà di comprendere il significato delle espressioni della lingua ebraica.
La traduzione “Dio formò con la costola la donna”, per esempio, non è corretta perché il termine tzela significa piuttosto lato, fianco, oppure metà. Eva, in questa lettura simbolica, è venuta al mondo in pari dignità, altra metà dell’uomo che in lei si riconosce. Come recita il Talmud: la donna non nasce dalla testa, che avrebbe significato superiorità, non dai piedi che avrebbe comportato inferiorità, ma dalla parte centrale e vitale dell’uomo.
Dio crea la donna perché Adamo non trova un aiuto a lui corrispondente. Questa parola, aiuto, (ezar) è stata interpretata come una caratteristica debole del femminile: il compito della donna è di essere a disposizione dell’uomo per curarlo e aiutarlo. Ma nel contesto biblico non è forte chi ha bisogno di aiuto, bensì chi, come Dio, presta ed è di aiuto. Il Signore è l’aiuto dell’uomo (Sal 30,11; 54,6).
Infine, quella che è stata intesa come una punizione per la donna “Verso tuo marito sarà il tuo istinto ed egli ti dominerà” ( Gen 3,16), può essere invece tradotta: “Verso il tuo uomo andrà il tuo istinto (= desiderio) e lui ti corrisponderà”, trovando un parallelo nel Cantico dei Cantici, “Io sono del mio amato e il suo desiderio è verso di me” (Ct 7,11). Qui lo stesso termine indica l’attrazione che l’uomo ha verso la donna, in un canto d’amore che non esprime né prevaricazione dell’uno nei confronti dell’altro né subordinazione, ma solo reciproco desiderio e amore dove gli occhi di lui (Ct 5,12) si riflettono in quelli di lei (Ct 7,5).
Il Cantico può essere considerato la risposta femminile a Genesi; riprende ed esalta, infatti, la reciprocità dei generi in uno straordinario canto erotico d’amore che vede protagonista la donna, la Sulamita (“pace”). Di lei è il punto di osservazione. In un gioco narrativo di reciprocità, il Cantico riprende il racconto delle origini, ma cambiando prospettiva: è la donna a rispecchiarsi nell’uomo e a riconoscersi in lui, è lei il giardino rigoglioso nel quale l’uomo trova riparo e amore, è lei la fonte della vita, autonoma e responsabile del proprio corpo da donare per amore, è lei a lasciare la casa della madre per congiungersi all’amato.
Il mio amato è mio e io sono sua. (Ct 2,16)
Io sono del mio amato e il mio amato è mio. (Ct 6,3)
L’amore non porta a sottomissione, il desiderio non comporta sudditanza, ma, piuttosto, amicizia e reciprocità. La sposa è amica. “Tu sei bella, amica mia” (Ct 6,4).
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Il potere delle donne che non hanno potere
In Eva si è voluto vedere il potere della seduzione che coinvolge l’uomo nel peccato: lei, anche se nella debolezza della sua natura, conduce alla morte. Per questo il potere della donna è da controllare e, soprattutto, da piegare: la maternità non sarà forza, ma dolore; il desiderio di autonomia si tramuterà in sottomissione. La sua colpa sarà resa visibile nella subalternità e nella sofferenza del parto: troverà riscatto solo in una vita di silenzio e di servizio all’uomo, in una vita di dedizione nobilitata dalla sola maternità.
La donna impari in silenzio, in tutta sottomissione. non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non Adamo fu ingannato, ma fu la donna che, ingannata, fu colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia. (1Tm 2, 11-15)
In questa lettera che un discepolo di Paolo rivolge a Timoteo, cioè a cristiani di seconda generazione, Eva è letta in chiave letterale, prototipo di tutte le donne che devono pagare per la colpa di lei. Ci sono tutti i presupposti di quella che sarà la teologia del peccato e che vedrà la donna responsabile in prima persona di un debito infinito davanti a un Dio offeso e punitivo.
Eppure, al contrario di quello che pensavano gli antichi, Eva non è un personaggio storico.
Eva è, piuttosto, una rappresentazione simbolica dell’umano alla ricerca di una propria autonomia; quindi è priva di fondamento l’accusa di un’offesa a Dio di un’azione che non c’è mai stata nella sua individualità.
Inoltre, in questa narrazione emerge anche la forza di questa figura femminile. Eva, infatti, è la protagonista, non Adamo, che appare passivo e infantile. E’ lei l’esito dell’evoluzione positiva e complessa della creazione. E’ lei che ricerca la conoscenza, che esercita la libertà, anche di trasgredire, acquisendo un alto livello di autonomia. E’ che sperimenta i limiti della condizione umana e che più di ogni altro vivrà sulla propria pelle la sofferenza e il male. E’ che dà origine alla storia, immettendo nel mondo della vita il dolore della nascita e la solitudine della morte, il peso del lavoro e la drammatica conoscenza della differenza tra bene e male. E’ lei la madre di tutti i viventi, portatrice di conflitti, ma anche di cultura, di identità e di differenza.
Il suo è il potere della vita.
Curiosità
Tradizioni dei testi e traduzioni
I racconti della creazione hanno dato luogo a infinite possibilità di analisi e di interpretazioni, sia perché i racconti sono due, che attingono a diverse tradizioni (sacerdotale del VI sec, a.C. e Jahvista del X sec. a. C.) non facilmente armonizzabili, sia per la difficoltà di riconoscere e decifrare il linguaggio simbolico, sia, infine, per le difficoltà di comprendere il significato delle espressioni della lingua ebraica.
La traduzione “Dio formò con la costola la donna”, per esempio, non è corretta perché il termine tzela significa piuttosto lato, fianco, oppure metà. Eva, in questa lettura simbolica, è venuta al mondo in pari dignità, altra metà dell’uomo che in lei si riconosce. Come recita il Talmud: la donna non nasce dalla testa, che avrebbe significato superiorità, non dai piedi che avrebbe comportato inferiorità, ma dalla parte centrale e vitale dell’uomo.
Dio crea la donna perché Adamo non trova un aiuto a lui corrispondente. Questa parola, aiuto, (ezar) è stata interpretata come una caratteristica debole del femminile: il compito della donna è di essere a disposizione dell’uomo per curarlo e aiutarlo. Ma nel contesto biblico non è forte chi ha bisogno di aiuto, bensì chi, come Dio, presta ed è di aiuto. Il Signore è l’aiuto dell’uomo (Sal 30,11; 54,6).
Infine, quella che è stata intesa come una punizione per la donna “Verso tuo marito sarà il tuo istinto ed egli ti dominerà” ( Gen 3,16), può essere invece tradotta: “Verso il tuo uomo andrà il tuo istinto (= desiderio) e lui ti corrisponderà”, trovando un parallelo nel Cantico dei Cantici, “Io sono del mio amato e il suo desiderio è verso di me” (Ct 7,11). Qui lo stesso termine indica l’attrazione che l’uomo ha verso la donna, in un canto d’amore che non esprime né prevaricazione dell’uno nei confronti dell’altro né subordinazione, ma solo reciproco desiderio e amore dove gli occhi di lui (Ct 5,12) si riflettono in quelli di lei (Ct 7,5).
Il Cantico può essere considerato la risposta femminile a Genesi; riprende ed esalta, infatti, la reciprocità dei generi in uno straordinario canto erotico d’amore che vede protagonista la donna, la Sulamita (“pace”). Di lei è il punto di osservazione. In un gioco narrativo di reciprocità, il Cantico riprende il racconto delle origini, ma cambiando prospettiva: è la donna a rispecchiarsi nell’uomo e a riconoscersi in lui, è lei il giardino rigoglioso nel quale l’uomo trova riparo e amore, è lei la fonte della vita, autonoma e responsabile del proprio corpo da donare per amore, è lei a lasciare la casa della madre per congiungersi all’amato.
Il mio amato è mio e io sono sua. (Ct 2,16)
Io sono del mio amato e il mio amato è mio. (Ct 6,3)
L’amore non porta a sottomissione, il desiderio non comporta sudditanza, ma, piuttosto, amicizia e reciprocità. La sposa è amica. “Tu sei bella, amica mia” (Ct 6,4).
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