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16 giugno 2018

da “Musica” - Yukio Mishima

dipinto di John Silver
da “Musica” - Yukio Mishima
(…)

Una volta vi erano dei crisantemi gialli disposti con cura, e un paziente, innervositosi per l'attesa eccessiva, li ha mangiati; ma episodi del genere sono accaduti di rado.
A proposito di crisantemi, anche la mattina in cui venne per la prima volta Yumikawa Reiko nella sala d'aspetto c'erano dei crisantemi, doveva essere una serena mattina d'autunno.
Si era prenotata telefonicamente il giorno precedente, era la prima paziente della giornata.
Al telefono avevo sentito una voce un po' bassa e piacevole, dal tono traspariva una vaga inquietudine, ma tutto sommato mi era sembrata una persona normale.
La ragazza aveva una lettera di presentazione di un internista di un certo ospedale, un mio vecchio amico.
Tutto sembrava molto regolare.
Quella mattina andai allo studio, salutai il mio assistente Kodama e l'infermiera Yamauchi, e quando indossai il camice bianco era già l'ora dell'appuntamento con Yumikawa Reiko.
La ragazza arrivò con alcuni minuti di ritardo, indossando un soprabito di un rosso molto acceso.
Chi sceglie colori che attirano con prepotenza l'attenzione altrui intende sempre inviare un preciso segnale psicologico.
Ciò che mi colpì subito fu la sua bellezza, poteva avere ventiquattro o venticinque anni, e, in contrasto con il soprabito vermiglio, il suo trucco era semplice e leggero: si capiva che doveva essere molto sicura della sua naturale bellezza.
Aveva un viso dai lineamenti perfetti, ma privo della freddezza che abitualmente ne deriva. La linea del naso disegnava, con equilibrio e grazia, un profilo elegante e deciso, ma senza essere per questo troppo evidente. Le labbra carnose, la forma della mascella fine e delicata. Gli occhi erano limpidi e nel loro movimento non si notava alcuna particolare anormalità.
Quando uscii dallo studio per salutarla, lei cercò di fare un sorriso spontaneo, ma proprio in quell'attimo su una guancia le balenò un tic. Pensai subito che fosse meglio fingere di non far caso a quella convulsione, sintomo evidente dell'isteria. Non era un tic molto forte, come una leggera increspatura apparve due o tre volte e poi scomparve del tutto. Ma Reiko diventò nervosa: pensavo che il mio tentativo di fingere di non essermi accorto di niente fosse ben riuscito, invece lei aveva capito tutto.
E’ un paragone molto poco serio, ma in quel momento lei mi sembrò una di quelle affascinanti donne delle leggende, che per un attimo aveva mostrato la sua reale identità di "volpe".
In quella sala d'attesa, dalle cui finestre si vedevano addossati l'uno all'altro, in un luminoso giorno di fine autunno, edifici pubblici, teatri e alberghi, in quella sala di cui tutte le persone che vi entravano ammiravano la modernità, strano che proprio lì mi sia balenata in mente una così bizzarra fantasia.
Feci entrare la ragazza in sala terapia, e dopo averle spiegato che lì non c'era timore che qualcuno potesse vederci o sentirci, l'invitai a sedersi su una poltrona che poteva essere regolata trasformandosi in un comodo lettino. Io mi sedetti con aria tranquilla su uno sgabello vicino alla scrivania, dove era posato il blocco degli appunti al quale feci finta di non dare alcuna importanza. Una volta soli, la ragazza cominciò a parlare del proprio stato con una voce molto gradevole: "Questa estate ho cominciato a soffrire di inappetenza. Ho pensato che dipendesse dalla stagione, ma poi di tanto in tanto ho cominciato a provare nausea. Una nausea che non passa subito e che mi assale a intervalli. E’ molto forte; una medicina per lo stomaco acquistata in farmacia non ha avuto alcun effetto. All'improvviso ho anche cominciato a pensare..."
Reiko inumidì leggermente il labbro superiore con la punta contratta della lingua e disse esitando: “Non sarò mica incinta?”
"C'era motivo di pensare a questo?" le chiesi senza mezzi termini.
“Sì."
(…)

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