Pagine

16 giugno 2018

Tu che mi dovevi amare – Maria Antonietta D’onofrio

Felice Casorati – Le signorine
Tu che mi dovevi amare – Maria Antonietta D’onofrio

Cantare le donne in poesia, la loro bellezza, i loro occhi, i loro sorrisi, è semplice.
Cantare la negazione delle loro vite, è un canto distorto e doloroso.
Un canto che si fa affannoso nella ricerca della parola, quella giusta, per rendere cosa palpabile ciò che significa sdegno, rabbia, orrore, stupore amaro.
Leggo le statistiche, freddi numeri sulla carta stampata e sul web, ascolto la radio e le notizie in TV. Non c’è giorno che non sia colorato di rosso, un oceano rosso che ingoia gli occhi e i sorrisi cantati delle donne. E i loro pensieri, le loro idee, i loro sentimenti, le loro speranze e aspirazioni.
Quest’universo di numeri, è in realtà un pianeta di corpi coperti di lividi, violentati e feriti. Corpi dalle ali bruciate. Corpi derubati del loro respiro. Corpi abbandonati alle radici di un albero, nel letto di un fiume, nel fondo di un mare o semplicemente all’angolo di una strada o all’interno di una casa. Corpi segregati, legati, fatti prigionieri.
Corpi come proprietà privata.
Corpi dimenticati, anche dalla giustizia.
Ma in questi corpi c’erano vite. Vite che cantavano, che correvano a lavoro, che cucinavano, che lottavano per un mondo migliore, che crescevano figli, che gridavano per l’affermazione dei diritti, che pregavano, che annusavano i fiori, che si stupivano alla prima neve, che scostavano la tendina per guardare il cielo, che si svegliavano e si addormentavano, che piangevano di gioia e di dolore, che scrivevano la lista della spesa o un romanzo d’amore, che odiavano la guerra, che viaggiavano per davvero o con la fantasia.
Vite che nascondevano le ferite, per vergogna e paura.
Vite che con coraggio le mostravano e le denunciavano.
Vite come sentieri interrotti, case in macerie.
Vite come querce.
A queste vite, va il mio canto affannoso e distorto, libero da ogni vincolo di metrica, per riscattare un frammento della loro libertà negata.
In questa sera d’inverno annunciato, guardo il cielo. Il rosso del tramonto si dissolve e si nasconde, e al suo posto sale la notte. Una notte silenziosa e ferma, ma colma di stelle.
Sono loro, lassù.
Sono loro, queste stelle d’inverno.
Rimarranno aggrappate al mantello dell’aria, per ricordarci di ricordarle.

Nessun commento:

Posta un commento