dipinto di Kenton Nelson
L'avversario
– Dario Bellezza
Non furono
immagini, raggianti e regali
immagini del
reale salutare il mio forte:
il forte di
ogni ora rimescolata, nella
siesta o
controra della brame assolute.
E trascorsi
i secoli in ghingheri
trasecolammo
con scheletri tardivi di Musa
antiquata lungo
le cime dei monti Tiburtini
invano
cercati da mani infantili.
Non cercammo
i cuori lacerati e indecisi
né il lieto
sapore dei muscoli d'Acciaio.
Si,
immagini, rumori: mai il mio forte,
il vero
forte, o panforte della poesia.
Truccata
idea dai sensi inquieti
o calpestati
singhiozzi nel letto
ospite e
ospitale, orinale mentre tendo
l'orecchio
alla salita delle scale,
le mani
collegiali chiuse e derise
dentro la
palma umida, liquida,
vivendo al
capestro le sensazioni virginali.
Stanze
illuminate, poi. Garbate
ingiurie del
vino, ma il giorno è
passato
ormai, orfano innamorato
agitandomi
in piedi, in ansia: apro
la finestra
nel freddo lunare
spio la
mortalità terrestre e serale:
tombale
silenzio, e noia, noia
calamità
naturale del poco amarsi
nel
riaccendere la luce
perché
svaniscano gli incerti fantasmi
della notte.
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