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11 agosto 2018

da “Il canto di Penelope” - Margaret Atwood

dipinto di Jules Scalabert
da “Il canto di Penelope” - Margaret Atwood

(…)
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Entra il Coro.
Una lezione di antropologia
[Parlano le ancelle.]
Che cosa suggerisce il nostro numero, il numero delle ancelle - il dodici - a una mente colta? Gli apostoli sono dodici, c’è la Dodicesima Notte, quella dell’Epifania, ma anche i mesi dell’anno sono dodici e a che cosa corrisponde un mese nella mente di una persona colta? Sì? Lei, signore, là in fondo, vuol rispondere? Esatto! Un mese, come tutti sanno, corrisponde a una lunazione, cioè al tempo impiegato dalla luna per tornare alla stessa fase. Oh, non è una coincidenza, non è una coincidenza che noi fossimo dodici, non undici e non tredici e neanche otto come, nella filastrocca, le otto ancelle che mungono il latte! Perché noi non eravamo semplici ancelle! Non eravamo solo schiave e donne di fatica! La nostra posizione era più elevata. Poteva darsi che non fossimo le dodici ancelle, ma le dodici fanciulle. Le dodici fanciulle lunari, compagne di Artemide, la dea della luna, vergine e implacabile. Potevamo essere devote sacerdotesse che celebravano i sacrifici rituali: prima l’orgiastico rito della fertilità cedendo ai pretendenti, poi quello della purificazione lavandoci nel sangue degli uomini uccisi - mucchi di uomini uccisi, che onore per la dea! - e rinnovando così la nostra verginità, come Artemide aveva rinnovato la sua, bagnandosi nell’acqua di una fonte tinta con il sangue di Atteone. Volentieri ci saremmo sacrificate, se fosse stato necessario, per riportare alla vista la parte scura della luna, perché l’intero ciclo si rinnovasse e l’argentea dea della luna nuova si levasse una volta ancora. Perché si è creduto all’abnegazione e alla devozione di Ifigenia e non alla nostra?
È alla gomena dalla quale pendevano i nostri corpi che vanno legati - scusate il gioco di parole - gli avvenimenti di cui stiamo parlando. La forma della barca domina la nostra storia: l’ultimo quarto di luna dell’arco di Artemide, usato per lanciare una freccia attraverso i dodici anelli delle scuri - dodici! La freccia è passata attraverso gli anelli delle impugnature, gli anelli sono tondi, anche la luna piena è tonda. E l’impiccagione, riflettete care menti di raffinata cultura, riflettete sul significato della nostra impiccagione! Al di sopra della terra, nell’aria, eravamo collegate, per mezzo di un cordone ombelicale che veniva da una barca, alle maree mosse dall’attrazione della luna - oh, sono troppi gli indizi perché si possano trascurare. Come dice, signore? Lei, sì, in fondo alla sala. Sì, è esatto, i mesi lunari sono tredici, quindi avremmo dovuto essere in tredici. Ora, voi ci fate osservare - con notevole compiacimento, bisogna aggiungere - che la nostra ricostruzione è scorretta, perché noi eravamo in dodici. Ma, un momento - in realtà noi eravamo in tredici. La tredicesima era la nostra somma sacerdotessa, l’incarnazione di Artemide. Nient’altro che questo, infatti, era la regina Penelope! E pertanto lo stupro seguito dall’impiccagione rappresenta il sovvertimento di un culto matrilineo, causato dall’arrivo di un gruppo di barbari che si erano appropriati della patriarcale credenza che vuole il padre uguale a dio. Il loro capo, di nome Odisseo, avrebbe confermato la propria posizione regale sposando la somma sacerdotessa, di nome Penelope.
No, signore, noi neghiamo che la nostra tesi sia soltanto un’infondata sciocchezza femminista. Possiamo capire la vostra riluttanza a portare allo scoperto questi argomenti - stupri e omicidi non sono soggetti gradevoli -, ma questo genere di sovvertimenti ha di certo avuto luogo in tutti i paesi del Mediterraneo, come è stato più volte dimostrato dagli scavi archeologici.
Certamente quelle scuri, rimaste inutilizzate in modo quanto mai significativo durante la strage avvenuta poco dopo e, in modo altrettanto significativo, mai evidenziate con chiarezza di particolari in tremila anni di commenti letterari, erano le doppie scuri rituali, dette bipenni, presenti nel culto della Grande Madre della civiltà minoica e usate per mozzare la testa al Re dell’Anno, al termine dei tredici mesi lunari del suo regno. Il re ribelle veniva così punito per aver lanciato, con l’arco della Grande Madre, una freccia attraverso le scuri del rito della vita e della morte, allo scopo di dimostrare il suo potere sulla vita di lei - una profanazione! Come se il pene patriarcale si prendesse lo stesso arbitrio, attraverso… Ma è un argomento che ci porterebbe troppo lontano. Nello schema patriarcale degli eventi c’era, probabilmente, una gara di tiro con l’arco, ma condotta in base a una regola rigorosa. Il vincitore veniva nominato, secondo il rito, re per un anno e poi impiccato - ricorderete la figura dell’Impiccato, che ora sopravvive solo come una semplice carta dei Tarocchi. Gli sarebbero stati strappati i genitali, come si conviene a un fuco sposato all’ape regina. Entrambi gli interventi, l’impiccagione e l’asportazione dei genitali, sarebbero stati garanzia di un abbondante raccolto. Ma alla scadenza del termine che gli spettava di diritto, il prepotente, forte Odisseo si è rifiutato di morire. Bramoso di prolungare la propria vita e il proprio potere, ha trovato chi lo sostituisse. Sono stati, in verità, asportati degli organi genitali, ma non erano i suoi – erano quelli del capraio Melanzio. L’impiccagione ha avuto luogo, ma siamo state noi, le dodici ancelle, le dodici fanciulle della luna, a penzolare nel vuoto al posto suo. Potremmo proseguire. Desiderate vedere alcuni dipinti su vasi, qualche oggetto intarsiato e dedicato al culto della dèa? No? Non importa. Ci preme soprattutto non aver provocato in voi, care menti colte, un’emozione eccessiva per quanto riguarda la nostra sorte. Non dovete pensare a noi come avere ragazze, vera carne, vero sangue, vero dolore, vera ingiustizia. Sarebbe troppo inquietante. Lasciate da parte l’aspetto sordido.
Considerateci un puro simbolo. Noi siamo vere quanto il denaro.

traduzione di G. Aurelio Privitera

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