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20 agosto 2018

da “La pensione Eva” - Andrea Camilleri

Felice Casorati - Concerto (1924)
da “La pensione Eva” - Andrea Camilleri
(…)
Mentre riacchianavano la scala, Grazia disse: «In questi ultimi tre giorni, tra marinai, soldati italiani e tedeschi e gente del posto, non ho avuto nemmeno il tempo di respirare.»
Tornati al primo piano, Grazia non raprì la porta per andare al secondo, ma si voltò a taliare a Nenè.
«Vuoi?»
Nenè si sentì arrussicare, non se l’aspittava.
«Se… se lo vuoi tu.»
Lei lo pigliò per la mano, se lo tirò appresso.
«Non andiamo nella tua camera?»
«No, nella mia camera no. Mi parrebbe…»
Raprì l’ultima porta del corridoio, lo fece trasire.
«Questa non viene usata mai. Serve per qualche emergenza.»
Abbrazzò a Nenè stritto stritto. Doppo tanticchia spiò:
«Ti posso baciare in bocca?»
Pirchì gli spiava il primisso?
«Sì, certo.»
Mai era stato vasato in quel modo. Dintra alla sua vucca la lingua di Grazia esplorò, liccò, assapurò, gustò. Gli firriò la testa. Mentre il suo sangue dabbascio s’arrisbigliava di colpo e pigliava a tuppiare per nesciri fora, gli principiò una specie di trimolizzo che la picciotta avvertì.
«Ma tu sei mai stato prima con una donna?»
«Una volta sola.»
«Sei emozionato?»
«Sì.»
«Anch’io» disse Grazia. «Che strano. Senti.»
Si portò la mano di Nenè al cuore, per fargli sentire quanto batteva forte. Nenè non sapeva che sarebbe stata la prima e l’ultima volta che lo faceva alla Pensione Eva. Per la verità ce ne fu macari una seconda, ma non addipinnì dalla sua volontà.
Pirchì dù mesi appresso Nenè conobbe una picciotta più grande che studiava al terzo anno dell’università e che di nome faceva Giovanna. L’avevano chiamata dal suo paisi a dare lezioni di latino al liceo di Montelusa, datosi che i professori fagliavano, erano squasi tutti a fare la guerra. Ma non era professoressa di Nenè, insegnava in un’altra classe. Nenè, per stare la sira con lei, che aveva un quartino indove viveva sula, disse a sua matre che viaggiare con la corriera era diventato troppo pericoloso, la mitragliavano in continuazione. La meglio sarebbe stato abitare a Montelusa fino alla fine della scola. Sua matre gli trovò una càmmara presso una lontana parente.
Ma Nenè continuò, ogni lunedì sera, ad andare alla Pensione Eva con Ciccio e Jacolino. E lo faceva, macari se non gli interessava più sperare in qualichi occasione fortunata, pirchì il racconto che gli aveva fatto Emanuela gli aveva permesso di capire che le storie che quelle picciotte potevano contare gli avrebbero permesso di capire. Capire qualichi cosa di lu munnu, di la vita. Aveva la possibilità di conoscere sei picciotte diverse ogni quindici jorni e parlare con loro e ascutarle mentre parlavano. Si era fatto definitivamente capace, “con una soddisfazione da botanico, che non era possibile trovare altrove riunite specie più rare di quelle di quei giovani fiori” (ma queste parole di Proust le avrebbe liggiute tanti e tanti anni appresso).
(…)

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