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5 agosto 2018

da “La ventisettesima città” - Jonathan Franzen


da “La ventisettesima città” - Jonathan Franzen

Ai primi di giugno William O’Connell, capo della polizia di St. Louis, annunciò le sue dimissioni e il consiglio dei delegati di polizia, trascurando i candidati appoggiati dall’establishment politico della città, dalla comunità nera, dalla stampa, dall’associazione degli agenti di polizia, e dal governatore del Missouri, decise di conferire la caricaquinquennale di capo della polizia a una donna che aveva già fatto parte della polizia di Bombay. La città rimase di stucco, ma la donna – una certa S. Jammu – accettò l’incarico prima che chiunque potesse fermarla.
Era il 1º agosto. Il subcontinente indiano salí di nuovo all’onore della cronaca locale il 4 agosto, quando lo scapolo piú ambito di St. Louis sposò una principessa di Bombay. Lo sposo era Sidney Hammaker, presidente della Hammaker Brewing Company, l’industriasimbolo della città. Della sposa si disse che era favolosamente ricca. Nei resoconti delle nozze i giornali riportarono che aveva una collana di brillanti assicurata per undici milioni di dollari, e che si era portata una schiera di diciotto persone di servizio per accudire alle proprietà degli Hammaker a Ladue, fuori città. I fuochi artificiali sparati durante il ricevimento per il matrimonio sommersero di cenere i prati a un paio di chilometri di distanza.
Una settimana piú tardi cominciarono i primi avvistamenti. Una famiglia indiana di dieci elementi venne notata su un’aiuola spartitraffico, a poca distanza dal Cervantes Convention Center. Le donne indossavano sari, gli uomini completi neri, i bambini pantaloncini corti da ginnastica e T-shirt. Tutti con in volto un’espressione lievemente infastidita.
All’inizio di settembre scene di questo tipo erano diventate una costante della vita quotidiana in città. Capitava di vedere degli indiani bighellonare senza motivo apparente tra Dillard e il centro di St. Louis. Li si poteva osservare stendere coperte nel parcheggio del museo di arti figurative e prepararsi un pasto caldo all’aperto, giocare a carte sul marciapiede davanti al National Bowling Hall of Fame, prendere in considerazione case in vendita a Kirkwood e a Sunset Hills, fare fotografie davanti alla stazione dell’Amtrak in centro, oppure far grappolo attorno alla capote di una Delta 88 ferma su Forest Parkway. I bambini avevano sempre l’aria beneducata.
L’inizio di autunno era anche la stagione in cui si faceva vivo un altro – e più familiare – visitatore d’oriente, il Profeta Velato di Khorassan. Un gruppo di uomini d’affari aveva evocato il Profeta nel secolo diciannovesimo, perché li aiutasse a raccogliere i fondi per iniziative filantropiche. Ogni anno Egli tornava e Si reincarnava in uno dei cittadini più illustri, la cui identità rimaneva rigorosamente segreta creando con il Suo mistero anagrafico un’atmosfera giocosa e incantata. È stato scritto:

Là su quel trono, al quale la fede cieca
Di milioni lo innalzò, sedeva il Profeta-Capo,
Il Grande Mokanna. Steso sui lineamenti era
Il Velo suo d’Argento, che aveva lí calato
Per misericordia, onde celare a vista mortale
Il viso suo abbagliante di luce immensa.

La pioggia cadde una sola volta in settembre, il giorno della Parata del Profeta Velato. L’acqua ruscellava lungo gli strumenti delle bande in marcia, e i trombettieri faticavano ad accostare la bocca all’imboccatura. I ponpon avvizzivano macchiando di colore le mani delle ragazze che poi se le passavano sulla fronte nel mandare indietro i capelli. Parecchi carri si impantanarono.
La sera del ballo per il Profeta Velato, il piú importante avvenimento dell’anno, violente raffiche di vento abbatterono i fili elettrici dell’intera città. Nella sala Khorassan del Chase-Park Plaza Hotel il ballo delle debuttanti si era appena concluso, quando andò via la luce. Arrivarono di corsa i camerieri con dei candelabri, e quando accesero il primo la sala si riempì di un mormorio di sorpresa e costernazione: il trono del Profeta era vuoto.
In Kingshighway una Ferrari 275 nera oltrepassò a tutta velocità i supermarket privi di finestre e le chiese massicce della zona nord della città. Eventuali curiosi avrebbero potuto
scorgere una tunica immacolata dietro il parabrezza, una corona sul sedile del passeggero. Il Profeta stava andando verso l’aeroporto. Parcheggiata l’auto in una corsia di emergenza, Egli si precipitò nell’atrio del Marriott Hotel.
– Ha dei problemi, per caso? – disse un ragazzo d’albergo.
– Io sono il Profeta Velato, cretino.
All’ultimo piano dell’albergo, Egli si fermò a una porta e bussò. La porta venne aperta da una donna alta e coi capelli scuri in tuta da jogging. Era molto carina. Scoppiò a ridere.
Quando il cielo prese a illuminarsi, in basso, verso oriente, sopra l’Illinois meridionale, i primi a saperlo furono gli uccelli. Lungo le rive del fiume e in tutti i parchi e le piazze del centro, gli alberi presero a stormire e frusciare. Era il mattino del primo lunedì d’ottobre. In centro gli uccellini si stavano svegliando.
(…)
Traduzione di Ranieri Carano

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