Paolo Caleari (il Veronese) - Venere allo specchio 1585 circa olio su tela. Joslyn Art Museum, Omaha, Nebraska
All’amica risanata – Ugo Foscolo
Qual dagli
antri marini
L’astro più
caro a Venere
Co’
rugiadosi crini
Fra le
fuggenti tenebre
Appare, e il
suo vïaggio
Orna col
lume dell’eterno raggio;
Sorgon così
tue dive
Membra
dall’egro talamo,
E in te
beltà rivive,
L’aurea
beltate ond’ebbero
Ristoro
unico a’ mali
Le nate a
vaneggiar menti mortali.
Fiorir sul
caro viso
Veggo la
rosa, tornano
I grandi
occhi al sorriso
Insidïando;
e vegliano
Per te in
novelli pianti
Trepide
madri, e sospettose amanti.
Le Ore che
dianzi meste
Ministre
eran de’ farmachi,
Oggi
l’indica veste,
E i monili
cui gemmano
Effigïati
Dei
Inclito
studio di scalpelli achei,
E i candidi
coturni
E gli
amuleti recano
Onde a’ cori
notturni
Te, Dea,
mirando obbliano
I garzoni le
danze,
Te principio
d’affanni e di speranze.
O quando
l’arpa adorni
E co’
novelli numeri
E co’ molli
contorni
Delle forme
che facile
Bisso seconda,
e intanto
Fra il basso
sospirar vola il tuo canto
Più
periglioso; o quando
Balli
disegni, e l’agile
Corpo
all’aure fidando
Ignoti vezzi
sfuggono
Dai manti, e
dal negletto
Velo
scomposto sul sommosso petto.
All’agitarti,
lente
Cascan le
trecce, nitide
Per ambrosia
recente,
Mal fide
all’aureo pettine
E alla rosea
ghirlanda
Che or con
l’alma salute April ti manda.
Così ancelle
d’Amore
A te
d’intorno volano
Invidïate
l’Ore,
Meste le
Grazie mirino
Chi la beltà
fugace
Ti membra, e
il giorno dell’eterna pace.
Mortale
guidatrice
D’oceanine
vergini
La Parrasia
pendice
Tenea la
casta Artemide
E fea terror
di cervo
Lungi
fischiar d’arco cidonio i nervi.
Lei predicò
la fama
Olimpia
prole; pavido
Diva il
mondo la chiama,
E le sacrò
l’Elisio
Soglio, ed
il certo telo,
E i monti, e
il carro della luna in cielo.
Are così a
Bellona,
Un tempo
invitta amazzone,
Die’ il
vocale Elicona;
Ella il
cimiero e l’egida
Or contro l’Anglia
avara
E le cavalle
ed il furor prepara.
E quella a
cui di sacro
Mirto te
veggo cingere
Devota il
simolacro,
Che presiede
marmoreo
Agli arcani
tuoi lari
Ove a me sol
sacerdotessa appari,
Regina fu,
Citera
E Cipro ove
perpetua
Odora
primavera
Regnò beata,
e l’isole
Che col
selvoso dorso
Rompono agli
Euri e al grande Ionio il corso.
Ebbi in quel
mar la culla,
Ivi erra
ignudo spirito
Di Faon la
fanciulla,
E se il
notturno zeffiro
Blando sui
flutti spira,
Suonano i
liti un lamentar di lira:
Ond’io, pien
del nativo
Aer sacro,
su l’Itala
Grave cetra
derivo
Per te le
corde eolie,
E avrai
divina i voti
Fra gl’inni
miei delle insubri nepoti.
Nessun commento:
Posta un commento