Mentre tutti galoppavano da un ufficio all’altro
il compagno Korotkòv si teneva saldo in servizio al Bascentrprimatfiamm (Base
centrale principale materiali per fiammiferi) con la qualifica di protocollista
di ruolo e ci rimase ben undici mesi.
Una volta che si fu ben riscaldato al Matfiamm, il
tenero e silenzioso biondino, Korotkòv, sterminò nell’animo suo il pensiero
delle cosiddette contrarietà della sorte che esistono nel mondo e al suo posto
si inculcò la certezza che egli, Korotkòv, sarebbe restato in servizio alla
Base fino alla fine della sua vita sulla terra. Ma, ahimè, le cose andarono ben
diversamente…
Il venti settembre del millenovecentoventuno il
cassiere del Matfiamm si calcò in testa il suo disgustoso berretto di pelo con
il paraorecchi, ripose nella cartella l’assegno a strisce e se ne andò. Questo
accadde alle undici dopo mezzanotte.
Il cassiere poi tornò alle quattro e mezza dopo il
mezzogiorno, completamente bagnato. Dopo essere arrivato, scosse via l’acqua
dal berretto, pose il berretto sul tavolo, sul berretto mise la cartella e
disse:
«Non insistete, signori».
Poi, chissà perché, rovistò nel tavolo, uscì dalla
stanza e ritornò un quarto d’ora dopo con una grossa gallina morta dal collo
storto. Mise la gallina sulla cartella, sulla gallina la sua mano destra e
proferì:
«Niente soldi».
«Domani?» gridarono in coro le donne.
«No», il cassiere prese a scrollare la testa,
«neanche domani e neppure dopodomani. Non vi accalcate, signori, altrimenti,
compagni, mi rovesciate il tavolo.»
«Come?», gridarono tutti, ivi compreso l’ingenuo
Korotkòv.
«Cittadini!», intonò con voce lamentosa il
cassiere e con il gomito respinse Korotkòv, «vi prego!»
«Ma come?», gridavano tutti e più forte degli
altri quello spasso di Korotkòv.
«Beh, per favore», borbottò rauco il cassiere e,
tratto fuori dalla cartella l’assegno, lo mostrò a Korotkòv.
Proprio sul punto indicato dalla sporca unghia del
cassiere, era scritto di traverso in inchiostro rosso:
«Pagare. Per il compagno Subbòtnikov, Senat».
Più sotto, in inchiostro violetto c’era scritto:
«Non ci sono soldi. Per il compagno Ivanòv,
Smirnòv».
«Come?», gridò, solo Korotkòv, e gli altri,
ansando, si rovesciarono sul cassiere.
«Ah, Signore!» prese a lagnarsi quello, smarrito
«Che c’entro io? Dio mio!»
Ficcato in fretta l’assegno nella cartella, egli
si calcò in testa il berretto, la cartella se la infilò sotto il braccio,
sventolò la gallina e gridò: «Lasciatemi passare, per favore! » e, apertasi una
breccia in quella muraglia vivente, scomparve oltre la porta.
Con uno squittio gli corse dietro una pallida
archivista con i tacchi alti e sottili, il tacco sinistro proprio vicino alla
porta si staccò con uno scrocco, l’archivista barcollò, alzò un piede e si
tolse la scarpa.
E nella stanza restò lei, con un piede scalzo, con
tutti gli altri, ivi compreso Korotkòv.
(…)
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