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29 ottobre 2018

da “Il figlio maschio” – Giuseppina Torregrossa

dipinto - Jeanne Lorioz
da “Il figlio maschio” – Giuseppina Torregrossa

Nonostante fossero sposati da quasi sei anni, Libertino provava un piacere intenso ogni volta che sfiorava il corpo di sua moglie. Accarezzò i capelli di Mimma, quindi si mise a osservare con attenzione i bottoni della camicetta: una fila di funghetti bianchi, le cui teste sporgevano da cappiolini di filo ritorto. L’uomo infilò indice e medio nello scollo, esercitò una lieve torsione sul peduncolo, e il primo bottone sgusciò fuori dall’asola con un movimento fluido. Fece poi lo stesso con tutti gli altri, finché la camicetta si aprì scoprendo due seni grandi, trattenuti a stento da un reggipetto di raso. Libertino li guardò estasiato.
Era stato un colpo di fulmine. Mimma scendeva per la via delle Chiese e gli occhi di lui erano rimasti incollati a quelle curve che promettevano il paradiso. “Minchia, pezzo di fimmina” aveva esclamato tra sé ed era corso a casa, spinto dal bisogno di condividere con qualcuno la sua felicità: ne aveva tanta dentro al cuore che rischiava di collassare.
«Ho trovato la donna della mia vita» aveva urlato, «vado a cercare il sensale!»
«Fermati» gli aveva ordinato allora il padre, «u ’nguacchiu già è stato fatto e sei promesso alla figlia del falegname.»
«Io a chidda non la vogghiu. Ha le minne piatte ed è senza culo.»
«Ormai… D’altra parte, tu non ti decidevi e io mi scantavo che mi ristavi in casa pi’ simenza.»
«Piuttosto mi faccio monaco» aveva ribattuto Libertino. Amava le forme abbondanti e quella sconosciuta, una specie di mappamondo di carne, gli era entrata nel sangue. Aveva guance rosse e paffute, due mele annurche, minne come meloni, fianchi di gelatina tremolante. Mentre ci ripensava, il ragazzo si era sentito rimescolare tutto.
Il vecchio aveva notato il turbamento nello sguardo del figlio e, sapendo quanto fosse testardo, si era fatto il segno della croce invocando l’aiuto di santa Barbara: «Solo tu la puoi sminare ’sta bomba» aveva mormorato alzando gli occhi al cielo. Fare u ’nguacchiu con una picciotta e non mantenere la parola, c’era da perdere l’onore per tre generazioni.
Mentre incombeva la tragedia, era arrivato proprio il sensale: «Non si può fare. Il falegname mi disse che la picciotta è già ’nguacchiata».
Santa Barbara non s’era fatta attenniri e aveva concesso subito la grazia.
Così Libertino, ritenendosi sciolto da ogni impegno, aveva dato immediatamente l’incarico a mastro Pepè di rintracciare la donna misteriosa, parlare alla sua famiglia e spiarci il matrimonio.
Il sensale, felice, ché non gli capitava mai di avere un doppio ’nguacchiu dallo stesso picciotto, si era messo al lavoro.
Era tornato dopo una settimana: «Si chiama Mimma Cavallotto, suo padre faceva il pastaio ma muriu, sua madre gestisce un emporio, è un tipo difficile: c’è di scippare tacciteddi cu’ l’unghia. Mi disse che discute solo con te in persona».
Libertino era partito in quarta, ché un fuoco gli bruciava dentro, e il giorno stesso, ad apertura di negozio, s’era fatto trovare sulla porta con il cappello in mano. Concettina aveva capito subito chi era e l’aveva invitato a entrare con un cenno del capo.
A dispetto di quanto annunciato dal sensale, la donna non si era fatta pregare: «Signor Libertino, io sono d’accordo a darvi mia figlia, ma a una condizione: vi dovete sposare entro tre mesi». E dopo una breve pausa aveva aggiunto, a scanso di equivoci: «Devo andare via da Sommatino e non posso lasciare una picciotta schetta da sola».

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