dipinto - Jeanne Lorioz
da “Il figlio maschio” – Giuseppina Torregrossa
Nonostante fossero
sposati da quasi sei anni, Libertino provava un piacere intenso ogni volta che
sfiorava il corpo di sua moglie. Accarezzò i capelli di Mimma, quindi si mise a
osservare con attenzione i bottoni della camicetta: una fila di funghetti
bianchi, le cui teste sporgevano da cappiolini di filo ritorto. L’uomo infilò
indice e medio nello scollo, esercitò una lieve torsione sul peduncolo, e il
primo bottone sgusciò fuori dall’asola con un movimento fluido. Fece poi lo
stesso con tutti gli altri, finché la camicetta si aprì scoprendo due seni
grandi, trattenuti a stento da un reggipetto di raso. Libertino li guardò
estasiato.
Era stato un colpo di
fulmine. Mimma scendeva per la via delle Chiese e gli occhi di lui erano
rimasti incollati a quelle curve che promettevano il paradiso. “Minchia, pezzo
di fimmina” aveva esclamato tra sé ed era corso a casa, spinto dal bisogno di
condividere con qualcuno la sua felicità: ne aveva tanta dentro al cuore che
rischiava di collassare.
«Ho trovato la donna
della mia vita» aveva urlato, «vado a cercare il sensale!»
«Fermati» gli aveva
ordinato allora il padre, «u ’nguacchiu già è stato fatto e sei promesso alla
figlia del falegname.»
«Io a chidda non la
vogghiu. Ha le minne piatte ed è senza culo.»
«Ormai… D’altra
parte, tu non ti decidevi e io mi scantavo che mi ristavi in casa pi’ simenza.»
«Piuttosto mi faccio
monaco» aveva ribattuto Libertino. Amava le forme abbondanti e quella
sconosciuta, una specie di mappamondo di carne, gli era entrata nel sangue.
Aveva guance rosse e paffute, due mele annurche, minne come meloni, fianchi di
gelatina tremolante. Mentre ci ripensava, il ragazzo si era sentito rimescolare
tutto.
Il vecchio aveva
notato il turbamento nello sguardo del figlio e, sapendo quanto fosse testardo,
si era fatto il segno della croce invocando l’aiuto di santa Barbara: «Solo tu
la puoi sminare ’sta bomba» aveva mormorato alzando gli occhi al cielo. Fare u
’nguacchiu con una picciotta e non mantenere la parola, c’era da perdere
l’onore per tre generazioni.
Mentre incombeva la
tragedia, era arrivato proprio il sensale: «Non si può fare. Il falegname mi
disse che la picciotta è già ’nguacchiata».
Santa Barbara non
s’era fatta attenniri e aveva concesso subito la grazia.
Così Libertino,
ritenendosi sciolto da ogni impegno, aveva dato immediatamente l’incarico a
mastro Pepè di rintracciare la donna misteriosa, parlare alla sua famiglia e
spiarci il matrimonio.
Il sensale, felice,
ché non gli capitava mai di avere un doppio ’nguacchiu dallo stesso picciotto,
si era messo al lavoro.
Era tornato dopo una
settimana: «Si chiama Mimma Cavallotto, suo padre faceva il pastaio ma muriu,
sua madre gestisce un emporio, è un tipo difficile: c’è di scippare tacciteddi
cu’ l’unghia. Mi disse che discute solo con te in persona».
Libertino era partito
in quarta, ché un fuoco gli bruciava dentro, e il giorno stesso, ad apertura di
negozio, s’era fatto trovare sulla porta con il cappello in mano. Concettina
aveva capito subito chi era e l’aveva invitato a entrare con un cenno del capo.
A dispetto di quanto
annunciato dal sensale, la donna non si era fatta pregare: «Signor Libertino,
io sono d’accordo a darvi mia figlia, ma a una condizione: vi dovete sposare
entro tre mesi». E dopo una breve pausa aveva aggiunto, a scanso di equivoci:
«Devo andare via da Sommatino e non posso lasciare una picciotta schetta da
sola».
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