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23 ottobre 2018

da “L'assaggiatrice” - Giuseppina Torregrossa

dipinto di Kenne Gregoire
da “L'assaggiatrice” - Giuseppina Torregrossa

La caponata è tiepida, sugosa, le melanzane colano un umore appena appena gelatinoso, con quel poco di rosa dell’estratto di pomodoro, come l’interno delle cosce delle bionde; i capperi, nascosti tra gli altri ingredienti, li puoi indovinare quando li schiacci tra la lingua e il palato, la cipolla fina fina, che neanche te ne accorgi, è evanescente, compagna ideale delle altre verdure. Sollevo la bottiglia del vino, fredda, con tutta la brina sul vetro verde, la avvicino al viso di Hamed, un brivido mi percorre, lo percorre. Verso il vino nel bicchiere, un dolce odore di pesca bianca, pompelmo, foglie di pomodoro e timo selvatico si spande nell’aria. Bevo a piccoli sorsi e le note speziate e agrumate mi sollecitano il naso e si mescolano con l’odore di maschio che insperatamente per me, vedova bianca da qualche mese, riempie la stanza.
Non ho messo forchette di proposito, un piatto così prepotente merita l’uso delle mani. Hamed prende ogni boccone con tre dita accucchiate strette, mani lunghe e forti, il sugo gli scivola verso i polsi e ogni tanto lui lo lecca con gusto, ma fammi provare se su quelle braccia il sapore migliora. Mi avvicino guardandolo da sotto alle palpebre e maliziosa gli chiedo il permesso. Non parla, ma mi sorride, non vuole altro che io mi avvicini un po’ di più. Lo lecco lentamente, con la lingua piatta e morbida, sospira un poco, non ce la fa più, ma lo abbiamo deciso, anche se non ce lo siamo detto, prima di qualunque altra cosa dobbiamo finire quel piatto il cui profumo ora minaccia e ora promette. L’attesa aumenta il desiderio. Mangiamo concentrati, il rumore del nostro respiro interrompe il silenzio e rivela l’eccitazione dei nostri corpi, delle nostre menti.
Il caldo è diventato insopportabile, sarà colpa di quel vino selvaggio che se ne scende come acqua e dentro al mio corpo si trasforma in un’energia dirompente, che vaga disorientata alla ricerca di un’uscita. L’odore persistente di Hamed mi stordisce, le gambe si ammollano ancora di più, faccio dondolare la testa con grazia, mi alzo in piedi, mi muovo sensuale e lui mi guarda, muto, ma con un’espressione contenta, gli occhi stretti, mentre tutta la sua faccia mi sorride. Il piatto è quasi vuoto quando mi apro la camicia; percepisco un sospiro, Hamed si versa ancora da bere, finisce veloce di mangiare, allontana il piatto e si solleva dalla sedia, mi prende di peso e mi conduce nell’angolo più buio del negozio. Con piccole pressioni sui fianchi mi costringe a girarmi. Mi ritrovo di spalle, gli occhi fissi a un grande mazzo di peperoncini appeso alla parete, all’altezza del mio viso. Con grande delicatezza mi solleva la gonna; lo lascio fare, nulla di più eccitante di un uomo che prende l’iniziativa, nulla di più riposante di uno sconosciuto che si gode quello che gli serve e ti dà quello che vuoi. Sento i suoi occhi sulla mia schiena, allargo le gambe, ma lui ancora non si decide, mi sta facendo impazzire dal desiderio.
Mi viene in mente che Gaetano è via da molto tempo e io ho tanto di quel sesso arretrato, me ne accorgo solo adesso! È un attimo, sono di nuovo presente a me stessa, pronta a godere di questa fortuna inaspettata e insperata. Hamed mi fa ancora allungare il collo, vorrei proprio che si decidesse. Dai, perché non ti muovi? Prendimi. Lo vedi che ne ho bisogno, che sto quasi soffrendo? Vorrei che mi scopasse subito, ma ogni uomo ha i suoi tempi, i suoi modi.
Il silenzio è quello di una cattedrale durante un rito solenne. Sento il suo respiro sul collo, la sua pancia contro la mia schiena, le sue cosce sopra le mie. Ecco, mi prende dolcemente, quasi un sussurro, il tempo sospeso comincia a scorrere. Il piacere prima che arrivi io lo sento nella pancia, una stretta che va e viene, un orgasmo lungo e profondo arriva rapidamente. Hamed non si ferma, accelera il ritmo, mi gusta come a un piatto di caponata, continua a spingere avanti e indietro senza esitazione e io sono ancora lì che spero che non finisca mai. Mi lamento, ansimo, apro la bocca per urlare e lui mi mette una mano sopra perché nessuno ascolti, perché il segreto non superi il confine dei nostri corpi uniti. Quel suono trattenuto aggiunge una scossa violenta all’eccitazione e anche Hamed se ne viene impetuosamente, con un sospiro profondo che gli si blocca in gola, un fiume in piena. Mi costringe a girarmi verso di lui e mi bacia sulla bocca con gratitudine. Si riveste al buio, lo saluto con un cenno mentre va via in fretta. Mi aggiusto il vestito, sparecchio velocemente e corro ad aprire il negozio, prima che le malelingue dei miei paesani comincino a parlare.
Il sole è ancora caldo, l’aria pesante. Il primo a passare è Salvatore, ha l’aria sognante, si è appena svegliato e mi chiede di preparargli un caffè. Sono così contenta e soddisfatta che glielo preparo senza chiedergli il solito euro.
(...)

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