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26 novembre 2018

da “Nel giardino del diavolo” - Stewart Lee Allen


dipinto di Steve Goad
da “Nel giardino del diavolo” - Stewart Lee Allen
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Nel frattempo i loro confratelli inserivano il pomodoro nel libro nero dei “cibi riprovevoli”. “Non c’è niente di più malefico,” scriveva l’abate Chiari, il noto moralista cattolico, verso la metà del Settecento, all’epoca della nascita della salsa di pomodoro “dell’abitudine (sempre crescente) di fare uso di cibi ricoperti di droghe (spezie) provenienti dalle Americhe.” Il fatto che il pomodoro, almeno inizialmente, godesse di ampio credito come salsa, costituì un ulteriore smacco nei confronti del pomodoro come frutto. E a rincarare la dose fu il fatto che la salsa veniva usata solo per guarnire un piatto. “L’uomo, per natura, non è un mangiatore di salse” scriveva l’autorevole Clemente di Alessandria nel III secolo, e non si riferiva certo alla mancanza di cucchiai. Le salse venivano considerate un’insidia di Satana, perché esaltavano l’atto del mangiare, che era il primo passo verso il peccato di gola, che portava a sua volta ai vizi capitali di lussuria, superbia, avarizia, ecc. La brillantezza quasi soprannaturale del pomodoro, il suo gusto penetrante, la sua succulenza incredibilmente sensuale, per il clero rappresentavano delle maledizioni. Esso “accendeva le passioni”, cosa di cui difficilmente si sarebbe potuta accusare la patata, scura e sporca di terra. La natura pudica della patata era ulteriormente dimostrata dal metodo asessuato con cui si riproduceva: non aveva semi, ma i frutti nascevano direttamente dal suo corpo. L’immacolata concezione della botanica, insomma. Il pomo dell’amore, morbido e delizioso, stracolmo di densi succhi, che invitava l’eventuale malcapitato ad affondare i denti nella sua pelle scarlatta e nella sua polpa sensuale per farne uscire tutti gli umori, era un essere completamente differente: immorale, lascivo e decisamente pagano. All’epoca non era cosa da poco. Nell’XI secolo, in occasione della visita di una principessa straniera che introdusse l’uso della forchetta a Venezia, i capi religiosi locali invocarono la maledizione divina per questa raffinatezza. Quando più tardi la damigella morì per un male incurabile, i prelati conclusero che si era trattato della “punizione divina”, per il modo in cui aveva tentato di esaltare l’atto del mangiare “portando alle labbra il cibo per mezzo di uno strumento dotato di due denti”.
Alla fine sia il pomodoro sia la forchetta riuscirono a spuntarla. Ironicamente l’ultimo paese ad accettare il pomodoro fu proprio l’America, la patria del ketchup. Il paladino del pomodoro fu un certo Robert Johnson, un cittadino del New Jersey. Quando, nel 1820, annunciò che avrebbe mangiato pubblicamente uno di quei frutti diabolici, la gente si precipitò da ogni parte degli Stati Uniti, convinta di assistere a una morte in diretta. Il pomeriggio del giorno fatidico Johnson salì le scale davanti casa sua e si rivolse alla folla. “Cosa temete, poveri sciocchi?” sbraitò. “Ora vi dimostrerò che questi frutti sono buoni da mangiare!” E così dicendo addentò il pomodoro. Semi e succo schizzarono fuori. Qualche spettatore svenne. Ma Johnson sopravvisse e, secondo una leggenda locale, aprì una fabbrica di conserve di pomodoro.

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