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8 dicembre 2018

da Nel giardino del diavolo - Stewart Lee Allen

da Nel giardino del diavolo - Stewart Lee Allen

Verde velenoso
A qualcuno piace coltivare fiori. C’è chi preferisce le piante grasse. A me piace coltivare erbe aromatiche. Mentre scrivo sto osservando la mia piantina di basilico. Sarà alta al massimo venti centimetri, ma emana un profumo divino, di una freschezza soave e profonda. La innaffio con cura, e quando ne strappo qualche foglia per le tagliatelle, non manco mai di rivolgere qualche vituperio alla sua testolina crespa, come si usava fare un tempo in Italia. Così ha un sapore molto, ma molto migliore.
Il basilico fu importato in Europa da Alessandro Magno intorno al IV secolo a.C., di ritorno da una campagna in Asia, nei pressi dell’India. Con la pianta arrivò anche la leggenda di una ragazza di nome Vrinda. Si tratta di una storia complessa, piena di divinità gelose, di demoni e di seduzioni angeliche, dove alla fine la nostra eroina, Vrinda, scopre che il suo sposo è stato assassinato. Ciò le sconvolge a tal punto la mente che decide di lasciarsi bruciare viva sulla pira dell’amato sposo. Per tramandare la memoria di quest’insano gesto di devozione gli dèi indù trasformarono i suoi capelli bruciati in una pianta dal profumo soave chiamata tulsi, o basilico, e ordinarono ai loro sacerdoti di venerarla. Ancora oggi in alcuni tribunali indiani i testimoni prestano giuramento su un ciuffo di basilico, come noi facciamo con la Bibbia, e milioni di devoti indù iniziano la giornata girando in preghiera intorno alla loro piantina di tulsi. La sera, prima di coricarsi, accendono un lumino sacro davanti alla piantina.

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