opera di Mario Tozzi
L’assaggiatrice – Giuseppina Torregrossa
Mi fermo di botto,
Hamed parla con tono morbido e ipnotico. In ginocchio davanti a lui non posso
fare a meno di ubbidire alle sue richieste. I miei occhi lo fissano dal basso,
è con quelli che di solito si parla. Ho un improvviso rigurgito di pudore e
faccio come la mossa di coprirmi il viso, ma lui me lo impedisce trattenendomi
i polsi e comincia a raccontare, accarezzandomi ripetutamente le braccia: «Sono
un irrequieto, per questo ho lasciato la mia casa. Ho una moglie, dolce come a
te», si ferma, mi tiene la testa tra le mani, e leggero mi bacia le labbra, con
fare da padrone mi infila la lingua tra i denti, poi si ritrae e continua. «La
mattina mi svegliavo presto, la luce entrava dalle finestre aperte e potevo vedere
i contorni del paesaggio che sembravano disegnati da un bambino. L’orizzonte
divideva, con una linea netta, il cielo rosso dalla terra nera, il vento agitava
le palme e giocava con le loro foglie. Arrivato in Sicilia ho deciso di non
parlare, perché solo nel silenzio riuscivo a sentire i miei ricordi e a
trattenerli nell’anima. Così ho potuto superare la malinconia e la nostalgia,
che nei primi tempi non mi lasciavano mai, un dolore fisso alla pancia, una
stretta alla gola». Hamed si ferma, mi stringe, non c’è nulla di erotico in
quell’abbraccio, è la presa di un naufrago disperatamente attaccato al tronco
che lo tiene a galla. «Qualche volta, a tradimento, mi sembra di sentire il
pianto della mia compagna; sono stato io ad abbandonarla, ma lei dolcemente mi
ha lasciato andare. Sì, lo so che sono stato crudele, ma non potevo restare. Il
mondo è grande, il mare era un richiamo irresistibile, l’orizzonte mi stava
stretto, proprio non me la sentivo di rimanere nel recinto del villaggio. Ma
poi che altro potevo fare?».
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