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4 gennaio 2019

Banana Yoshimoto – Amrita

Banana Yoshimoto – Amrita

Essendo un animale notturno, in genere vado a letto dopo lo spuntare dell’alba. E di regola non mi sveglio mai prima dell’una. Perciò quel giorno fu un caso eccezionale.
Intendo il giorno in cui mi arrivò il primo pacco da Ryùichirò.
Sì, quella mattina all’improvviso il mio fratellino entrò nella mia stanza sbattendo la porta e si mise a scuotermi con tutte le sue forze.
“Svegliati, Sakumi, svegliati! E’ arrivato un pacco!”
Sollevandomi a fatica, mormorai:
“Cosa?”.
“C’è un pacco grandissimo per te!” Yoshio era talmente eccitato che se avessi fatto finta di niente continuando a dormire, si sarebbe messo a saltare sul letto. Non avendo scelta, mi rassegnai a svegliarmi del tutto e a scendere al piano di sotto. Feci le scale con lui appiccicato addosso.
In cucina c’era mia madre seduta al tavolo che mangiava del pane.
Annusai nell’aria un delizioso profumo di caffè.
“Buongiorno,” dissi.
“Buongiorno,” rispose mia madre guardandomi stupita. “Come mai già in piedi? Non è un po’ presto per te?”
“E’ questa peste che mi ha buttato giù dal letto. Non dovrebbe essere all’asilo?”
“Ho un po’ di febbre,” disse mio fratello, sedendosi di botto su una sedia e afferrando un pezzo di pane.
“Ah, ecco perché tutta questa animazione,” dissi.
“Anche tu eri così da piccola. Quando sembravi elettrizzata senza ragione, scoprivo sempre che avevi la febbre,” commentò mia madre.
“E gli altri?”
“Dormono ancora.”
“Ah, già, sono solo le nove e mezza,” sospirai.
Ero andata a dormire alle cinque. Ed ero ancora frastornata da quel brusco risveglio.
“Vuoi anche tu il caffè, Sakumi?”
“Ma sì, lo prendo.”
Mi sedetti. Dalla finestra che mi stava di fronte entravano i raggi diretti del sole del mattino, e la loro luce, a cui da tempo avevo perso l’abitudine, sembrava penetrare in ogni mia fibra. La figura di mia madre di spalle, nitida e minuta, che sfaccendava in cucina, mi faceva pensare a una ragazzina che gioca a fare la giovane sposa.
La mamma in effetti è ancora giovane, aveva diciannove anni quando sono nata. Vuol dire che all’età che ho io adesso lei aveva già due figli. Una cosa per me inimmaginabile.
“Eccoti il caffè. Vuoi un po’ di pane?”
Anche le mani che mi porgevano la tazza erano belle. Non sembravano assolutamente mani che avevano fatto lavori di casa per più di vent’anni. Mi piaceva molto una mamma come lei, ma allo stesso tempo mi faceva un po’ rabbia. Mi sembrava sleale nei confronti del mondo che sapesse schivare così bene il passare del tempo.
La mamma ai suoi tempi doveva essere una di quelle ragazze - in ogni classe ce n’è immancabilmente una - non bellissime ma dal fascino e dalla sensualità particolari, che fanno strage tra gli uomini più maturi.

Traduzione di Giorgio Amitrano

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