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4 gennaio 2019

Jane Eyre - Charlotte Bronte

Jane Eyre - Charlotte Bronte

Non si poteva proprio andare a passeggio, quel giorno. Il mattino, è vero, eravamo andati vagando per un'ora nella brughiera spoglia; ma dopo pranzo (la signora Reed, quando non c'erano invitati, mangiava presto) il freddo vento invernale aveva portato con sé nubi così cupe e una pioggia così penetrante che non si poteva parlare di uscire ancora.
Io ne ero felice: non ho mai amato le lunghe passeggiate, specialmente nei pomeriggi freddi: mi faceva paura tornare a casa nel gelo del crepuscolo, con le dita delle mani e dei piedi intorpidite, il cuore oppresso dai rimproveri di Bessie, la bambinaia, e avvilita dalla consapevolezza della mia inferiorità fisica rispetto a Eliza, John e Georgiana Reed.
Eliza, John e Georgiana erano adesso riuniti intorno alla loro mammina nel salotto: lei si
abbandonava sul divano presso il focolare e, vicino ai suoi adorati figli (che per il momento non litigavano né gridavano), sembrava perfettamente felice. Quanto a me, mi aveva dispensata dall'unirmi al gruppo dicendo che «le dispiaceva di dovermi tenere a distanza, ma, fino a quando non avesse saputo da Bessie, e avesse potuto notare lei stessa, che io mi ero impegnata sul serio a divenire più socievole e come si conviene a una ragazzina, ad assumere un contegno più cordiale e vivace - più aperto, più franco, più naturale, insomma - lei avrebbe dovuto assolutamente escludermi dai privilegi destinati solo ai bambini felici e contenti».
«Cosa dice che ho fatto, Bessie?», avevo chiesto.
«Jane, non mi piacciono le domande e le discussioni; inoltre c'è qualcosa di proprio indisponente in una bambina che rimbecca i grandi in questo modo. Va' a sederti in qualche parte e sta' zitta finché non saprai parlare con garbo».
Il salotto comunicava con un tinello, ed io vi sgattaiolai. C'era là una libreria. Subito mi impossessai di un volume, avendo cura di sceglierlo illustrato. Mi arrampicai sul sedile della finestra e, raccogliendo le gambe, mi rannicchiai alla turca; poi, tirata la rossa tenda di damasco fin quasi a chiuderla, mi trovai chiusa in un doppio rifugio.
Panneggi scarlatti mi limitavano la vista a destra; a sinistra avevo i limpidi riquadri di vetro, che mi proteggevano, senza separarmi, dalla triste giornata di novembre. Ogni tanto, voltando le pagine del mio libro, davo un'occhiata fuori al pomeriggio invernale. In lontananza c'era un pallido grigiore di nebbia e di nubi; più vicino prati bagnati e cespugli sbattuti dalla tempesta mentre una pioggia continua scrosciava spinta da lunghe raffiche lamentose.

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