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8 gennaio 2019

da L’indovino – Pandelis Bukalas

Calude Monet - Ninfee rosa, 1898, olio su tela, cm 81,5 x 100, Galleria d'Arte Moderna, Roma
da L’indovino – Pandelis Bukalas
Finché morii, anche questa morte fu nella fonte; la quarta? la sesta? non ricordo più bene. Mi uccise l’acqua fredda. Ero vecchio, così ero nato. Sfatto. Gli umori si erano prosciugati; la pelle avvizzita dal tempo, segno ormai di una mente che era divenuta mostruosa per divorare se stessa. E correvo, trascinato da una mano che parlava alla mia mano due lingue insieme: una la tenerezza, l’altra il terrore. Correvo per fuggire, per salvarmi dagli Epigoni, figli dei sette guerrieri sconfitti nella prima spedizione, che anelavano all’orribile vendetta e saccheggiarono la città di Tebe, la patria della quale vissi i patimenti prima che lei li conoscesse. E l’ira della fuga, la vergogna che improvvisamente mi trovavo a misurare con parametri mortali, mi prosciugarono ogni forza. Mi ingannò la fonte, come allora. La volta precedente. E bevvi. Bevvi la mia immagine cieca, effigiata in mia assenza dallo specchio d’acqua. E la morte. Avevo ormai imparato ad avere sete e mi ero esercitato ad attraversarla. E morii. Una morte semplice e ignobile. Oltrepassai la luce. E abitai la tenebra. Come quando preparavo mia madre a partorirmi, e apprendevo allora nell’umidità che sarebbe risultata nella mia ombra gemella.

Traduzione di Massimo Cazzulo
Da “Poesia” n. 298, novembre 2014. Crocetti Editore

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