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15 giugno 2019

da “Gli indifferenti” – Alberto Moravia

dipinto di Kenton Nelson
da “Gli indifferenti” – Alberto Moravia

Ma si era appena tolta di dosso quella ripugnante uniforme dalle grosse righe, e tutta nuda, in piedi, stava preparandosi ad infilar la camicia, quando, d'improvviso, sentì un braccio afferrarla da dietro, alla vita. Il primo movimento fu di paura; lasciò cadere in terra l'indumento, si voltò vivamente da quel lato: si vide allora, là contro il fianco, la testa arruffata, insonnolita, rossa, dell'amante: "Carla" egli mormorò, sporgendosi dal letto, levando degli occhi eccitati e mal desti verso la fanciulla e fingendo di parlare a fatica per un gran sonno che non aveva; "perché andartene così presto? Vieni qui... toma qui accanto al tuo Leo."
Ella guardò quel volto tentatore, laggiù, illuminato dalla luce calda della lampada, e, d'improvviso, una inspiegabile sofferenza le gonfiò il petto: "Lasciami" disse con voce caparbia sforzandosi di staccar dal costato le cinque dita che vi s'incollavano, "è tardi... è tempo che io vada."
Vide l'uomo ridere socchiudendo quei suoi piccoli occhi eccitati: "per certe cose non è mai tardi," e di colpo, senza ragione, ché dentro di sé ammetteva benissimo che all'amante venissero tali voglie, la sua collera fu al colmo: "Lasciami ti dico" ripetè duramente: per tutta risposta Leo allungò goffamente anche l'altro braccio tentando di rovesciarla al suo fianco; allora, con uno strattone, ella si liberò, andò alla poltroncina ai piedi del letto, e, curva, senza più occuparsi di lui, senza dir parola, si diede a infilar le calze.

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