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25 giugno 2019

da L’oro di Napoli – Giuseppe Marotta

da L’oro di Napoli – Giuseppe Marotta
Gli spaghetti

La gente, a Napoli, suppone che gli spaghetti siano antichissimi, spera di averli inventati e si sbaglia. A chi potevano venire in mente se solo i re e la corte sapevano, svegliandosi, che verso l’una avrebbero mangiato? Così gli spaghetti ebbero origine in Sicilia, o in Sardegna, o nello Stato Pontificio. Frattanto i napoletani si nutrivano di verdura, “cime” di rape col pane: anch’io talora ne ho voglia e ne chiedo, deve essere qualche lontanissimo antenato che mi chiama per rimproverarmi. Ricordati, dice, che tre secoli fa gli spaghetti costituivano da noi un lusso inaudito, potevamo concederceli un paio di volte all’anno; ai primi sintomi di carestia se ne vietava la fabbricazione; un mesto proverbio ammoniva: state attenti, gli spaghetti rovinano le famiglie. Ciò mi fu rivelato dall’amico che mi fece visitare il grande pastificio ligure, conoscevano vita, morte e miracoli degli spaghetti in quella sontuosa università. (Vidi nei magazzini uno sterminato paesaggio di lunghi cartocci
blu; rifugiarmi per sempre qui con una pentola e con le debite riserve di pomodoro in scatola, pensai, ah perché non decido di farmi, in odio al mondo, monaco di clausura degli spaghetti?) Al mio amico risposi arrossendo che se Napoli ebbe tardi gli spaghetti fu umiltà storica e non fu pigrizia; vinta la timidezza ci si misero poi d’impegno, io infatti nacqui nel tempo in cui da Capodimonte a Posillipo c’erano più spaghetti che malattie o cambiali. Rivedo le grosse bilance d’ottone, coi vasti piatti sostenuti da tre catenelle e per fulcro una discutibile sirena: invitavano a comprare quintali di spaghetti ma potevano pesarne anche pochi fili: erano sincere, amichevoli. Un piatto di bilancia scende col suo mazzo di spaghetti ed è passata un’età, forse la vita. Quanti ne occorrono per il vostro pasto? Noi eravamo una famiglia per “tre quarti” di spaghetti, settecentocinquanta grammi; l’espressione “tre quarti” dovrei farla scrivere sul mio stemma se lo avessi, ci classificava nelle botteghe e davanti a Dio; la sentimmo ripetere per anni fra la tavola e il fornello; spesso il cuore di mia madre non conteneva altro che quelle parole e un pugno di livido sale.

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