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16 giugno 2019

L’urlo e il furore - William Faulkner

L’urlo e il furore - William Faulkner

Caddy si affacciò sulla soglia e restò lì, a guardare il babbo e la mamma. I suoi occhi scivolarono su di me, poi si distolsero. Cominciai a piangere. Piangevo forte e mi alzai. Caddy entrò e si appoggiò al muro, guardandomi. Andai verso di lei, piangendo, e lei si appiattì contro il muro; le vidi gli occhi, piansi più forte e la tirai per la veste. Tese le mani, ma la tirai per la veste. I suoi occhi vagavano.
Versh disse: Ora ti chiami Benjamin. Lo sai come è andata, che ora ti chiami Benjamin. E stato per farti venire le gengive azzurre. Mammy dice che nei tempi andati tuo nonno cambiò il nome ad un negro, e si fece pastore e, quando lo guardavano, aveva anche lui le gengive azzurre. Eppure, prima, non ce le aveva. E quando una donna gravida lo guardava negli occhi a luna piena, il bambino nasceva con le gengive azzurre. E una sera, quando già c'era una dozzina di bambini con le gengive azzurre che giravano per il paese, il pastore non tornò più. I cacciatori di opossum ne ritrovarono nei boschi lo scheletro. E tu sai chi l'aveva mangiato. I bambini con le gengive azzurre.
Eravamo nell'ingresso. Caddy stava ancora guardandomi. Aveva una mano sulla bocca, le guardavo gli occhi e piangevo. Salimmo le scale. Di nuovo si fermò, contro al muro, a guardarmi, e piangevo. Poi si mosse e io mi mossi, piangendo, e allora si appiattì contro al muro, guardandomi. Aprì la porta di camera sua, ma io la tirai per la veste e andammo verso la stanza da bagno e lei si appoggiò contro la porta, guardandomi. Poi si parò il viso col braccio ed io la scossi, piangendo.
Che cosa gli fai, disse Jason. Perché non puoi lasciarlo in pace.
Non lo tocco nemmeno, disse Luster. Ha fatto sempre così, per tutto il giorno. Bisognerebbe frustarlo.
Bisognerebbe mandarlo a Jackson, disse Quentin. Come si può vivere in una casa così.
Se la casa non piace alla signorina, farebbe meglio ad andarsene, disse Jason.
Me ne andrò, disse Quentin. Non aver paura.
Versh disse: «Scostati un poco, perché possa asciugarmi le gambe». Mi tirò indietro appena. «Ora, non metterti a mugolare. Anche da qui puoi vederlo. Non hai altro da fare. Non sei stato fuori, come me, sotto la pioggia. Sei nato con la camicia e non lo sai.» Si stese sul dorso, davanti al fuoco.
«Lo sai come è andata, che ora ti chiami Benjamin» disse Versh. «La tua mamma è troppo orgogliosa. Così ha detto mammy.»
«Stai fermo lì, e lasciami asciugare le gambe» disse Versh. «Altrimenti, sai cosa ti fo. Ti sbuccio il sedere.»
Potevamo udire il fuoco e il tetto e Versh.
Versh ritrasse le gambe di scatto e balzò in piedi. Il babbo disse: «Stai pure, Versh».
«Gli darò io da mangiare, stasera» disse Caddy. «Piange, alle volte, quando Versh gli dà da mangiare.»
«Prendi questo vassoio» disse Dilsey. «E spicciati a dar da mangiare a Benjy.»
«Non vuoi che Caddy ti dia da mangiare» disse Caddy.
C'è proprio bisogno che tenga quella vecchia ciabatta sudicia sulla tovaglia, disse Quentin. Perché non lo mandate in cucina. É come mangiare con un maiale.
Se non ti va il modo come si mangia, disse Jason, sarebbe meglio che tu non venissi neppure a tavola.
Fumo veniva fuori da Roskus. Sedeva dinanzi al forno. Lo sportello era aperto e Roskus vi aveva messo dentro i piedi. Fumo veniva fuori dalla scodella. Caddy mi pose in bocca il cucchiaio, dolcemente. Cera una macchia nera nella scodella.
Via, via, disse Dilsey. Non ti seccherà più.
Discese fin sotto la macchia. Poi la scodella si vuotò. Scomparve. «Ha fame, stasera» disse Caddy. La scodella riapparve. Non potevo vedere la macchia. Poi la rividi. «Muore di fame, stasera» disse Caddy. «Guarda quanto ha mangiato.»
Sicuro,disse Quentin. L'avete mandato a spiarmi. Odio questa casa. Scapperò via.
Roskus disse: «Pioverà tutta la notte».
È tanto tempo che scappi, disse Jason, ma non vai mai più lontana dell'ora di cena.
Lo vedrai, se non scappo, disse Quentin.
«Non so proprio che fare» disse Dilsey. «I fianchi mi dolgono tanto che posso muovermi appena. Tutta la sera su e giù per quelle scale.»
Oh,nonmistupirebbe,disseJason.Niente,diquello chefai,mistupisce.
Quentingettòsullatavolailtovagliolo.
Sta'zitto,Jason,disseDilsey.AbbracciòQuentin.Siedi,tesoro,disseDilsey.Dovrebbevergognarsiadare lacolpaatechenonc'entri.
«Eccola che ricomincia a far storie» disse Roskus.
«Chiudi la bocca» disse Dilsey.
QuentinscostòDilseydasé.GuardòJason.Aveva laboccarossa.Afferròilbicchiered'acquaelobrandìconlamano,guardandoJason.Dilseylapresepelbraccio.Lottarono.Ilbicchieresiruppecontrolatavolael'acquasiriversòsullatavola.Quentinsimiseacorrere.
«La mamma si sente male di nuovo» disse Caddy.
«Ah, sì» disse Dilsey. «Con un tempo come questo, tutti si sentono male. Quanto ci metti a finir di mangiare, bambino.»
Vaialdiavolo,disseQuentin,vaialdiavolo.Potemmoudirlachecorrevasuperlescale.Siandòinbiblioteca.
Caddy mi diede il cuscino, così potevo guardare il cuscino, lo specchio ed il fuoco.
«Bisogna stare tranquilli, perché Quentin sta studiando» disse il babbo. «Che fai, Jason.»
«Nulla» disse Jason.
«Allora, perché non vieni a farlo qui» disse il babbo.
Jason sbucò fuori dal suo cantuccio.
«Che cosa mastichi» disse il babbo.
«Nulla» disse Jason.
«Ha ricominciato a masticare la carta» disse Caddy.
«Vieni qui, Jason» disse il babbo.
Jason gettò qualcosa nel fuoco. Crepitò, si contorse, divenne nero. Poi divenne grigio. Poi scomparve. Caddy e il babbo e Jason stavano sulla poltrona della mamma. Gli occhi di Jason erano gonfi e chiusi, le labbra gli si muovevano, come se assaggiasse qualcosa. La testa di Caddy riposava sulla spalla del babbo. Aveva capelli come fuoco e piccole scintille di fuoco le brillavano negli occhi. Mi avvicinai e il babbo trasse anche me sulla poltrona e Caddy mi tenne. Odorava di piante.
Odorava di piante. Nell'angolo era buio, ma potevo vedere la finestra. Mi accoccolai stringendo la pantofola. Non potevo vederla con gli occhi, ma la vedevo con le mani e potevo udire la notte che sopraggiungeva. Le mani vedevano la ciabatta, ma non potevo vederla con gli occhi. Mi accoccolai, ascoltando calare le tenebre.
Eccoti, disse Luster. Guarda che ci ho. Me lo fece vedere. Sai dove l'ho preso. Me l'ha dato la signorina Quentin. Lo sapevo che ci sarei andato. Che fai, qui solo. Credevo che tu fossi scappato fuori. Non bastava tutto il mugolare e sbavare che hai fatto oggi. Avevi bisogno di andare a nasconderti in questa camera vuota, seguitando a brontolare e a lamentarti. Vieni a letto, così posso arrivare prima che cominci. Oggi non posso perdere tutta la serata con te. Appena sento il primo squillo di tromba, me la squaglio immediatamente

Traduzione di Augusto Dauphiné

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