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10 giugno 2019

Madre, per quanto gli altri poeti - Dario Bellezza

Madre, per quanto gli altri poeti - Dario Bellezza

Madre, per quanto gli altri poeti
ti hanno esaltato e onorato io,
degenere figlio, non ti assolvo.

Nella impura angoscia di sapermi
figlio da te generato a questa brutale
diversità, piango la tua solenne
maternità.

Non c'è quasi mai stata dolcezza, amore,
carezze di madre, ma solo il rimprovero
di essere nato, l'odio feroce della mia
carne, del mio misterioso sesso, in te:
una sacra avventura era cominciata
per me, per prima da te misconosciuta,-
che mi avresti voluto mediocre e sposato
infantilmente innamorato di una moglie
che fosse la tua cara nuora, l'immagine
sbiadita di te, gelosa, per i miei figli
che non avrò mai.
Mi rifiuto, madre, di crescere al mondo
orrendo dei padri e delle madri -
consumo il mio peccato, l'ingenuo
guardare il mondo come fosse sempre
la prima volta, non rifiutato,
in solitudine.

Quanto ho sofferto nel contemplare
da ragazzo la vita che violenta scorreva
anche nella mia assenza piena
di presentimenti scoraggiati di trasformarsi
in una qualsiasi presenza, salutare;
un modo nuovo di esistenza!

Guardavo ovunque i miei coetanei
andare insieme, nelle indomenicate sere
col ciuffo al vento, l'aria spavalda,
di chi possiede, e nel possedere è posseduto;
fiero che questo possesso sia condiviso
e capito con un solo sguardo dal compagno
da me solo avuto in sogno,
nel pianto astruso della ragione.

E il cugino, il cugino che vidi
allontanarsi allora, ragazzino, impedito
dalla vostra cieca paura moralistica
a frequentarmi, e divenuto ora
la mia bestia nera, il mostro sanguinario
che vuole fare giustizia di me?

Ma allora non mi eri di conforto!

Ora questo risentimento che non sa
perdonarsi di essere tale, così acre
e volgare, mi fa paura, si vendica
contro di te che godevi a vedermi
solo, alle finestre, piangere tutte
le mie lacrime.

Madre, non tornerà più giovinezza
l'età più breve, l'unica della vita
che si possa ricordare con piacere!

Non c'è viso, nella dolorosa memoria,
che venga a consolare le mie
tetre notti, al tavolo di lavoro,
al tavolo delle mie disperate insonnie.

Non c'è che l'arida solitudine,
lo sgomento di sapermi, unico
su tutta la faccia della terra, diverso:
che non ama, non riamato, la madre -
o forse il contrario, non so, sono ingiusto?

Ricordi, madre
i capelli lunghi?
Era tutto in onore tuo.
Non ti preoccupavi neppure del mio corpo
magro, asciutto, di giovinetto cresciuto
troppo in fretta, come in genere fanno
amorose tutte le madri. Solo eri capace
di rimproverarmi per le lenzuola
macchiate di acerbo, meraviglioso seme!

E ora so che voglio solo morire.
Al mondo rifiuto ogni amore,
ogni tentativo di riscatto,
di redenzione in un affetto
e se amato tento di riamare
è solo la mia voglia sciagurata
di annientamento che si fa avanti,
immutata, a trasformare il rapporto
in un inferno in cui è meglio morire.

Madre che mi hai ucciso prima di
espellermi dal tuo arido ventre
di quanto amore, privandone me,
hai privato l'innocente mondo!

Madre perchè mi mettesti al mondo?

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