da L'età dell'innocenza - Edith Wharton
Quando, finita la cena, gli uomini si unirono alle signore, il duca andò difilato dalla contessa Olenska, si sedettero in un angolo e si immersero in una animata conversazione. Nessuno dei due sembrò rendersi conto che il duca avrebbe dovuto per prima cosa porgere i suoi ossequi alla moglie di Lovell Mingott e a quella di Headly Chivers, e che la contessa avrebbe dovuto conversare con quel simpatico ipocondriaco del signor Urban Da-gonet di Washington Square il quale, per avere il piacere di conoscerla, aveva infranto la sua ferrea regola di non cenare fuori di casa nel periodo tra gennaio e aprile. I due chiacchierarono per una ventina di minuti, dopo di che la contessa si alzò e, attraversando da sola il vasto salone, andò a sedersi accanto a New land Archer.
Nei salotti di New York non si usava che una signora si alzasse e si allontanasse da un gentiluomo per cercare la compagnia di un altro. L’etichetta esigeva che ella dovesse aspettare, immobile come un idolo, che gli uomini desiderosi di parlare con lei si avvicendassero al suo fianco. Ma a quanto pareva la contessa non si era accorta di avere infranto qualche regola; sedeva perfettamente a suo agio in un angolo del divano accanto ad Archer, guardandolo con occhi molto affettuosi.
«Vorrei che mi parlasse di May», disse lei.
Invece di risponderle, egli le chiese: «Conosceva già il duca?».
«Sì … lo vedevamo di solito tutti gli inverni a Nizza. Ha una grande passione per il gioco … aveva l’abitudine di andare spesso al casinò.» Lo disse nel modo più semplice, come se dicesse: «Stravede per i fiori di campo»; e dopo un attimo aggiunse con candore: «Credo che sia l’uomo più noioso che abbia mai conosciuto».
Il suo compagno ne fu così felice da dimenticare la leggera scossa che gli avevano provocato le sue precedenti osservazioni. Era indubbiamente emozionante conoscere una signora che giudicava noioso il duca van der Luyden e aveva il coraggio di dichiararlo. Desiderava ardentemente farle delle domande, di saperne di più riguardo alla vita di lei, di cui le vaghe parole da lei pronunciate gli avevano dato modo di farsi un’idea confusa ancorché illuminante; temeva però di risvegliare ricordi penosi e prima che riuscisse a pensare a qualcosa da dirle lei era tornata all’argomento originale.
«May è un tesoro; non ho visto a New York una ragazza così bella e altrettanto intelligente. Ne è molto innamorato?» Newland Archer arrossì e scoppiò a ridere: «Quanto può es-serlo un uomo».
Lei seguitò a fissarlo pensosa, come se non volesse perdere la minima sfumatura di ciò che diceva. «Allora, pensa che ci sia un limite?»
«All’essere innamorati? Se questo limite c’è, io non l’ho trovato.» Ellen si illuminò di simpatia. «Ah … ma allora si tratta proprio di un autentico amore idillico?»
«È il più romantico degli idilli!»
«Che bello! E tutto questo lo avete scoperto da soli… insomma, non lo hanno combinato per voi?» Archer la guardò incredulo. «Si è dimenticata», le chiese sor-ridendo, «che qui da noi non permettiamo che si combinino matrimoni?» Un cupo rossore le salì al viso e all’istante egli si pentì di averlo detto.
«Sì», rispose lei, «me n’ero dimenticata. Deve perdonarmi se a volte commetto questi sbagli. Non sempre mi ricordo che qui è bene tutto ciò che era male nel posto da cui provengo.» Abbassò lo sguardo sul suo ventaglio viennese fatto di piume d’aquila e Newland si accorse che le tremavano le labbra.
«Sono veramente addolorato», disse d’impulso, «ma sappia che qui lei è fra amici».
«Sì, lo so. Dovunque vado, provo questa sensazione. Ecco perché sono tornata a casa. Voglio dimenticare tutto il resto, voglio diventare di nuovo una perfetta americana, come i Min-gott e i Welland, come lei e come la sua deliziosa madre, e come tutte le altre brave persone che sono qui stasera. Ah, ecco May che arriva e vorrà andare di corsa da lei», aggiunse, ma senza muoversi, mentre spostava gli occhi dalla porta per tornare a fissarli sul viso del giovanotto.
Il salone cominciava a riempirsi di ospiti giunti dopo cena e, seguendo lo sguardo di Madame Olenska, Archer vide arrivare May e sua madre. Nel suo abito bianco ornato d’argento, con una ghirlanda di argentei fiori sui capelli, la fanciulla slanciata somigliava a una Diana reduce dalla caccia.
«Oh», disse Archer, «ho tanti rivali: come vede, l’hanno già circondata. Le stanno presentando il duca.»
«Allora resti un po’ più con me», disse Madame Olenska a bassa voce, sfiorandogli il ginocchio con il ventaglio piumato. Fu un tocco leggero, che lo eccitò però come una carezza.
«Sì, mi faccia rimanere», rispose lui con lo stesso tono di voce, non sapendo ciò che diceva; ma proprio in quel momento spuntò il signor van der Luyden seguito dal vecchio signor Da- gonet. La contessa li salutò con un sorriso freddo e Archer, av-vertendo su di sé lo sguardo ammonitore del suo ospite, si alzò e cedette il posto.
Madame Olenska tese la mano come per dirgli arrivederci.
«Allora a domani, dopo le cinque … l’aspetterò», disse lei; e poi si volse per far posto al signor Dagonet.
«Domani…», Archer udì se stesso ripetere, anche se non c’era stato nessun impegno e durante il loro colloquio lei non gli avesse fatto capire che voleva vederlo di nuovo.
Mentre si allontanava vide Lawrence Lefferts, alto e splendente, che conduceva sua moglie per presentarla; e udì Gertrude Lefferts dire con il suo ampio sorriso anodino, nel rivolgersi alla contessa: «Credo però che da piccole abbiamo frequentato la stessa scuola di danza …». Dietro di lei, in attesa del loro turno per presentarsi alla contessa, Archer notò un gruppo di coppie recalcitranti che si erano rifiutate di conoscerla a casa della signora Mingott. I van der Luyden, come sottolineò la signora Archer, quando volevano sapevano impartire una lezione. Ci si chiedeva perché lo facessero così di rado.
Il giovanotto si sentì toccare il braccio e vide la signora van der Luyden guardarlo dalle altezze incontaminate del suo abito di velluto nero e dei diamanti di famiglia. «È stato gentile da parte tua, caro Newland, occuparti con tanta generosità di Madame Olenska. Ho detto a tuo cugino Henry che doveva venire in tuo aiuto.» Egli si accorse di sorriderle in modo incerto e lei, come a mostrarsi condiscendente verso la sua naturale timidezza, aggiunse: «Non ho mai visto May tanto bella. Il duca è convinto che sia la fanciulla più attraente di tutta la sala».
Quando, finita la cena, gli uomini si unirono alle signore, il duca andò difilato dalla contessa Olenska, si sedettero in un angolo e si immersero in una animata conversazione. Nessuno dei due sembrò rendersi conto che il duca avrebbe dovuto per prima cosa porgere i suoi ossequi alla moglie di Lovell Mingott e a quella di Headly Chivers, e che la contessa avrebbe dovuto conversare con quel simpatico ipocondriaco del signor Urban Da-gonet di Washington Square il quale, per avere il piacere di conoscerla, aveva infranto la sua ferrea regola di non cenare fuori di casa nel periodo tra gennaio e aprile. I due chiacchierarono per una ventina di minuti, dopo di che la contessa si alzò e, attraversando da sola il vasto salone, andò a sedersi accanto a New land Archer.
Nei salotti di New York non si usava che una signora si alzasse e si allontanasse da un gentiluomo per cercare la compagnia di un altro. L’etichetta esigeva che ella dovesse aspettare, immobile come un idolo, che gli uomini desiderosi di parlare con lei si avvicendassero al suo fianco. Ma a quanto pareva la contessa non si era accorta di avere infranto qualche regola; sedeva perfettamente a suo agio in un angolo del divano accanto ad Archer, guardandolo con occhi molto affettuosi.
«Vorrei che mi parlasse di May», disse lei.
Invece di risponderle, egli le chiese: «Conosceva già il duca?».
«Sì … lo vedevamo di solito tutti gli inverni a Nizza. Ha una grande passione per il gioco … aveva l’abitudine di andare spesso al casinò.» Lo disse nel modo più semplice, come se dicesse: «Stravede per i fiori di campo»; e dopo un attimo aggiunse con candore: «Credo che sia l’uomo più noioso che abbia mai conosciuto».
Il suo compagno ne fu così felice da dimenticare la leggera scossa che gli avevano provocato le sue precedenti osservazioni. Era indubbiamente emozionante conoscere una signora che giudicava noioso il duca van der Luyden e aveva il coraggio di dichiararlo. Desiderava ardentemente farle delle domande, di saperne di più riguardo alla vita di lei, di cui le vaghe parole da lei pronunciate gli avevano dato modo di farsi un’idea confusa ancorché illuminante; temeva però di risvegliare ricordi penosi e prima che riuscisse a pensare a qualcosa da dirle lei era tornata all’argomento originale.
«May è un tesoro; non ho visto a New York una ragazza così bella e altrettanto intelligente. Ne è molto innamorato?» Newland Archer arrossì e scoppiò a ridere: «Quanto può es-serlo un uomo».
Lei seguitò a fissarlo pensosa, come se non volesse perdere la minima sfumatura di ciò che diceva. «Allora, pensa che ci sia un limite?»
«All’essere innamorati? Se questo limite c’è, io non l’ho trovato.» Ellen si illuminò di simpatia. «Ah … ma allora si tratta proprio di un autentico amore idillico?»
«È il più romantico degli idilli!»
«Che bello! E tutto questo lo avete scoperto da soli… insomma, non lo hanno combinato per voi?» Archer la guardò incredulo. «Si è dimenticata», le chiese sor-ridendo, «che qui da noi non permettiamo che si combinino matrimoni?» Un cupo rossore le salì al viso e all’istante egli si pentì di averlo detto.
«Sì», rispose lei, «me n’ero dimenticata. Deve perdonarmi se a volte commetto questi sbagli. Non sempre mi ricordo che qui è bene tutto ciò che era male nel posto da cui provengo.» Abbassò lo sguardo sul suo ventaglio viennese fatto di piume d’aquila e Newland si accorse che le tremavano le labbra.
«Sono veramente addolorato», disse d’impulso, «ma sappia che qui lei è fra amici».
«Sì, lo so. Dovunque vado, provo questa sensazione. Ecco perché sono tornata a casa. Voglio dimenticare tutto il resto, voglio diventare di nuovo una perfetta americana, come i Min-gott e i Welland, come lei e come la sua deliziosa madre, e come tutte le altre brave persone che sono qui stasera. Ah, ecco May che arriva e vorrà andare di corsa da lei», aggiunse, ma senza muoversi, mentre spostava gli occhi dalla porta per tornare a fissarli sul viso del giovanotto.
Il salone cominciava a riempirsi di ospiti giunti dopo cena e, seguendo lo sguardo di Madame Olenska, Archer vide arrivare May e sua madre. Nel suo abito bianco ornato d’argento, con una ghirlanda di argentei fiori sui capelli, la fanciulla slanciata somigliava a una Diana reduce dalla caccia.
«Oh», disse Archer, «ho tanti rivali: come vede, l’hanno già circondata. Le stanno presentando il duca.»
«Allora resti un po’ più con me», disse Madame Olenska a bassa voce, sfiorandogli il ginocchio con il ventaglio piumato. Fu un tocco leggero, che lo eccitò però come una carezza.
«Sì, mi faccia rimanere», rispose lui con lo stesso tono di voce, non sapendo ciò che diceva; ma proprio in quel momento spuntò il signor van der Luyden seguito dal vecchio signor Da- gonet. La contessa li salutò con un sorriso freddo e Archer, av-vertendo su di sé lo sguardo ammonitore del suo ospite, si alzò e cedette il posto.
Madame Olenska tese la mano come per dirgli arrivederci.
«Allora a domani, dopo le cinque … l’aspetterò», disse lei; e poi si volse per far posto al signor Dagonet.
«Domani…», Archer udì se stesso ripetere, anche se non c’era stato nessun impegno e durante il loro colloquio lei non gli avesse fatto capire che voleva vederlo di nuovo.
Mentre si allontanava vide Lawrence Lefferts, alto e splendente, che conduceva sua moglie per presentarla; e udì Gertrude Lefferts dire con il suo ampio sorriso anodino, nel rivolgersi alla contessa: «Credo però che da piccole abbiamo frequentato la stessa scuola di danza …». Dietro di lei, in attesa del loro turno per presentarsi alla contessa, Archer notò un gruppo di coppie recalcitranti che si erano rifiutate di conoscerla a casa della signora Mingott. I van der Luyden, come sottolineò la signora Archer, quando volevano sapevano impartire una lezione. Ci si chiedeva perché lo facessero così di rado.
Il giovanotto si sentì toccare il braccio e vide la signora van der Luyden guardarlo dalle altezze incontaminate del suo abito di velluto nero e dei diamanti di famiglia. «È stato gentile da parte tua, caro Newland, occuparti con tanta generosità di Madame Olenska. Ho detto a tuo cugino Henry che doveva venire in tuo aiuto.» Egli si accorse di sorriderle in modo incerto e lei, come a mostrarsi condiscendente verso la sua naturale timidezza, aggiunse: «Non ho mai visto May tanto bella. Il duca è convinto che sia la fanciulla più attraente di tutta la sala».
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