opera di Romero Britto
da “Sotto le ciglia chissà” - Fabrizio De AndrèÈ così facile illudere, trovare dimestichezza col mestiere del mangiafuoco, incutere rispetto, timore attraverso l’artificio del canto o di qualsiasi altra magia. Ma il fuoco e la voce sono semplicemente alimentati da un’arte studiata e metabolizzata dall’abitudine allo scandalo quotidiano, all’applauso che risponde alla dolcezza scientemente alitata, all’urlo che si fa eco dell’urlo quando non vuole implodere in un rovescio di lacrime ingoiate.
E come il fumo, la voce sa penetrare in ogni (minima) fessura di una coscienza labile, in ogni anfratto di una memoria del corpo predisposta al rituale.
Non sono altro che un abile officiante, un medium di innumerevoli contatti con un assoluto che va ricercato in solitudine come il vero mistico sa cercare la luce senza cerimoniali né intermediari.
Per questo non mi piace parlarti di me come mezzo, credo di essere qualcosa di più e di meno, certamente di meno orribile di un sacerdote della comunicazione. Da un palcoscenico non si parla, non si dice: da un palcoscenico si può solo tentare il gioco effimero dell’incantesimo.
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