dipinto di Mario Sroni
da Cronache di Poveri amanti - Vasco Pratolini
Le strade sono deserte, i caffè notturni hanno abbassato le saracinesche: è spenta ogni luce. Le auto degli squadristi traversano un deserto di pietre e di luna. Con gli squadristi c’è la Morte. Ciascuno di essi ne reca il ritratto sul cuore: un teschio ricamato sulla camicia nera. La Morte li accompagna di casa in casa, è in ogni loro gesto e pensiero. Il suo contatto ha gelato i cuori, acceso le menti della sua idea ossessiva. La sua presenza rende i fascisti audaci e guardinghi, li sconvolge e li esalta. Li opprime. Essi sollecitano la complicità e insieme ne temono la potenza. Avanzano sule auto come su vascelli corsari incalzati dalla tempesta; avvertono la sorda ostilità che li insegue, per cui ogni palazzo, ogni manifesto, ogni sporto appaiono occhiuti ed aggressivi. Dopo le prime irruzioni che l’hanno colta di sorpresa, la città si è barricata dietro le sue pietre. Gli squadristi hanno trovato appartamenti disabitati, letti ancora caldi e disfatti. È in ciascuno di essi una follia omicida, il bisogno di uccidere per sentirsi vivi, scampati all’agguato. La Morte li ha costretti nel proprio gioco: è una partita che soltanto le luci dell’alba decideranno. Essi cantano per riconoscersi solidali, si aizzano l’un l’altro, gli chaffeurs premono sugli acceleratori, le macchine hanno sbalzi paurosi. Ad ogni crocicchio, essi dubitano un’imboscata, sparano a raffiche sui presunti aggressori: al loro passaggio crollano vetrine, lampioni vanno in frantumi. Tirano al volo sulle saracinesche, sui chioschi, sui portoni ove è sembrato che un’ombra. Non v’è gatto randagio, insegna pensile che non siano raggiunti dagli spari: uccisi, forati. Si sono, partendo, divisa la città in zone di operazioni. Adesso in ogni quartiere risuona l’eco della loro frenesia.
Le strade sono deserte, i caffè notturni hanno abbassato le saracinesche: è spenta ogni luce. Le auto degli squadristi traversano un deserto di pietre e di luna. Con gli squadristi c’è la Morte. Ciascuno di essi ne reca il ritratto sul cuore: un teschio ricamato sulla camicia nera. La Morte li accompagna di casa in casa, è in ogni loro gesto e pensiero. Il suo contatto ha gelato i cuori, acceso le menti della sua idea ossessiva. La sua presenza rende i fascisti audaci e guardinghi, li sconvolge e li esalta. Li opprime. Essi sollecitano la complicità e insieme ne temono la potenza. Avanzano sule auto come su vascelli corsari incalzati dalla tempesta; avvertono la sorda ostilità che li insegue, per cui ogni palazzo, ogni manifesto, ogni sporto appaiono occhiuti ed aggressivi. Dopo le prime irruzioni che l’hanno colta di sorpresa, la città si è barricata dietro le sue pietre. Gli squadristi hanno trovato appartamenti disabitati, letti ancora caldi e disfatti. È in ciascuno di essi una follia omicida, il bisogno di uccidere per sentirsi vivi, scampati all’agguato. La Morte li ha costretti nel proprio gioco: è una partita che soltanto le luci dell’alba decideranno. Essi cantano per riconoscersi solidali, si aizzano l’un l’altro, gli chaffeurs premono sugli acceleratori, le macchine hanno sbalzi paurosi. Ad ogni crocicchio, essi dubitano un’imboscata, sparano a raffiche sui presunti aggressori: al loro passaggio crollano vetrine, lampioni vanno in frantumi. Tirano al volo sulle saracinesche, sui chioschi, sui portoni ove è sembrato che un’ombra. Non v’è gatto randagio, insegna pensile che non siano raggiunti dagli spari: uccisi, forati. Si sono, partendo, divisa la città in zone di operazioni. Adesso in ogni quartiere risuona l’eco della loro frenesia.
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