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16 ottobre 2019

Flussi - Eugenio Montale

Pieter Paul Rubens - Alethea Talbot con i suoi operatori e Sir Dudley Carleton, 1620
Flussi - Eugenio Montale


I fanciulli con gli archetti
spaventano gli scriccioli nei buchi.
Cola il pigro sereno nel riale
che l'accidia sorrade,
pausa che gli astri donano ai malvivi
camminatori delle bianche strade.
Alte, tremano guglie di sambuchi
e sovrastano al poggio
cui domina una statua dell'Estate
fatta camusa da lapidazioni;
e su lei cresce un roggio
di rampicanti ed un ronzio di fuchi.
Ma la dea mutilata non s'affaccia
e ogni cosa si tende alla flottiglia
di carta che discende lenta il vallo.
Brilla in aria una freccia,
si configge s'un palo, oscilla tremula.
La vita è questo scialo
di triti fatti, vano
più che crudele.
Tornano
le tribù dei fanciulli con le fionde
se è scorsa una stagione od un minuto,
e i morti aspetti scoprono immutati
se pur tutto è diruto
e più dalla sua rama non dipende
il frutto conosciuto.
- Ritornano i fanciulli...; così un giorno
il giro che governa
la nostra vita ci addurrà il passato
lontano, franto e vivido, stampato
sopra immobili tende
da un'ignota lanterna.-
E ancora si distende
un dòmo celestino ed appannato
sul fitto bulicame del fossato:
e soltanto la statua
sa che il tempo precipita e s'infrasca
vie più nell'accesa edera.
E tutto scorre nella gran discesa
e fiotta il fosso impetuoso tal che
s'increspano i suoi specchi:
fanno naufragio i piccoli sciabecchi
nei gorghi dell'acquiccia insaponata.
Addio! - fischiano pietre tra le fronde,
la rapace fortuna è già lontana,
cala un'ora, i suoi volti riconfonde,-
e la vita è crudele più che vana.

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