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9 gennaio 2020

Rubens il partigiano e altri racconti - Enzo Montano


Rubens il partigiano e altri racconti
Da “La nera signora”

[…]
Bevvero silenziosamente del buon vino. Si guardavano, si studiavano, si sorridevano.
«Noto» riprese Vincenzo «che non vuoi cogliere i miei suggerimenti in termini di cambio di immagine, di adeguare il tuo incedere alla modernità.»
«Ah, la modernità, eccola di nuovo la modernità.»
«Ti pare strano che ci si adegui allo scorrere del tempo?»
«Per carità, quello che chiami modernità esiste da sempre.»
«Perché non l’hai colta?»
«Quale, amico mio, quale modernità avrei dovuto cogliere? Quella di secoli prima di Cristo? Quella che ogni generazione nuova immagina di modificare per poi rimpiangere quando invecchiano? Dimmi quale modernità?»
«La modernità dettata dall’epoca.»
«Dovrei cambiare sempre, come una valente trasformista: sarebbe un affanno continuo, una rincorsa al mutabile. Non dimenticare l’effimera dimensione del tempo in cui vivo. Per te una vita e la tutta la storia dell’esistenza, per me meno di due righe di un lungo romanzo.»
«Visto, allora, che la modernità cambia col tempo, tu preferisci conservare il marchio d’origine.»
«Ma si, sai quante modernità ho vissuto? Ogni generazione che ho visto passare, é andata via assieme alla modernità che vanamente aveva professato, soppiantata immediatamente dai quelli arrivati dopo nel rimpianto “dei bei tempi andati” delle persone più mature che deploravano le nuove tendenze. Non molto tempo fa, per esempio, sono passati solo quattrocento o cinquecento anni...»
«Ieri, si potrebbe affermare.»
«Mio caro, mezzo secolo o un secolo intero, per me è piccola cosa, un pulviscolo.»
«Cosa accadeva nel tuo ieri?»
«In quel periodo le neonate femmine con la sfortuna di nascere in famiglie povere, spesso venivano soppresse. Le sopravvissute erano considerate poco più che bestie. Allora anche una maggiore considerazione della donna era vissuta alla stregua di uno stravolgimento “dei bei tempi andati”. Vuoi un vero luogo comune? Eccolo: la modernità.»
«Allora niente concessione all’immagine.»
«Preferirei di no, col tempo magari.»
«Si, tra qualche millennio...»
«Se ci sarò ancora.»
«Tu ci sarai sempre.»
«Ho forti dubbi, ma tutto dipende da voi.»
«Da noi? Sei tu che attraversi i lunghissimi millenni e tu continuerai a farlo, inesorabilmente.»
«Su questo potremmo discutere a lungo poiché io non la determino, e vero, ma sono determinata dalla vita.»
«Quindi?»
«Metti caso che gli intelligenti della Terra non pongano nessun freno al disprezzo del pianeta, che continuino la loro opera di distruzione in ogni settore, pensi che non arriverà la fine di tutto? Basta lasciar fare ancora un poco e sarete senza foreste, ne piogge, ne freddo, con terra e aria fortemente inquinate e senza più acqua. Non rimarrà nessuna forma di vita, dunque, scomparirà anche la morte.»
«O forse sarà solo morte.»
«Se preferisci dire così, va bene, resta la sostanza: senza la vita tutto e morto e, perciò, non occorre il suo intervento. Rimane la morte quale inutile staticità del nulla, più che altro sarà deserto totale.»
«Quindi, alla fine, anche tu potresti finire?»
«Si… o restare inoperosa per millenni, forse milioni di anni finché non torni ad affacciarsi, lentamente, di nuovo la vita nelle sue forme primordiali elementari. E se dovesse rinascere la vita, rinascerebbe anche la morte.»
«Come se tutto ricominciasse.»
«Esatto, ammesso che un nuovo inizio possa ipotizzarsi dopo il passaggio di questa umanità.»
«È molto triste.»
«Già, intristisce anche me, pensa un po’.»
«Cominci a diventarmi simpatica.»
«Sono contenta, finalmente riesci a rompere il ghiaccio e guardare oltre l’immagine di superficie dello specchio.»
[…]

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