da Addio alle armi – Ernest Hemingway
A mezzogiorno ci trovammo bloccati nel fango di una strada che, a quanto si poteva calcolare, ci aveva portati a una diecina di chilometri da Udine. Fin dal mattino era cessato di piovere e avevamo sentito tre volte gli aeroplani. Li avevamo visti passare sopra di noi e dirigersi verso sinistra a bombardare la strada maestra. C'eravamo districati abilmente in una rete di strade secondarie, anche a forza di marce indietro quando non c'era altro da fare, e ci si era avvicinati sempre più a Udine; ma adesso la vettura di Aymo, durante una nuova marcia indietro, era sprofondata nella terra molle appena fuori di strada e le ruote a forza di girare avevano scavato tanto da far toccare il differenziale. Non c'era altro rimedio che scavare ancora davanti alle ruote, ricoprire il terriccio di sterpi finché potessero far presa e poi spingere e riportare la macchina sulla strada. Eravamo scesi tutti, stavamo intorno all'ambulanza. I sergenti le diedero un'occhiata, esaminarono le ruote e poi si incamminarono senza una parola. Corsi loro dietro.
- Venite - dissi. - Bisogna tagliare dei rami. –
- Noi dobbiamo andare - disse uno dei due.
- Sbrigatevi - dissi. - Tagliate rami anche voi. –
- Dobbiamo andarcene - ripeté quello. L'altro non parlava. Avevano fretta di sparire, le mie parole non contavano niente.
- Vi ordino di tornare indietro e d'aiutarci – dissi. Uno si voltò.
- Dobbiamo andare. Tra poco sarete tagliati fuori. Lei non può darci ordini, non è un ufficiale dei nostri. –
- Vi ordino di aiutarci - dissi. Mi voltarono definitivamente le spalle e continuarono per la loro strada.
- Fermatevi - esclamai. Continuarono a sfangare fra le siepi che costeggiavano la strada.
- Alt!, ve lo ordino - gridai. Affrettarono ancora il passo. Aprii la fondina e presi la pistola, mirai a quello che aveva parlato di più e tirai. Lo mancai e tutt'e due si misero a correre. Sparai tre colpi e ne stesi uno, l'altro scavalcò la siepe e gli sparai di nuovo mentre correva nel prato, la pistola scattò a vuoto e misi un altro caricatore ma poi vidi che non ce la facevo più a raggiungerlo.
Correva ancora, a testa bassa, sempre più in là nella campagna. Stavo rimettendo le cartucce nel caricatore vuoto quando Bonello si avvicinò.
- Lasci che lo finisca io - disse. Gli passai la pistola. Si avvicinò al sergente che era rimasto bocconi in mezzo alla strada, gli si chinò accanto, gli appoggiò la pistola contro la tempia e fece per sparare.
Il colpo non partì.
- Devi armarla - dissi. Alzò il cane e fece fuoco due volte. Prese il sergente per le gambe e lo trascinò da lato, lungo la siepe, poi tornò da me e mi restituì la pistola.
- Figlio d'un cane - disse guardando verso il sergente. - Sono stato io a ucciderlo, vero Tenente? –
- Ora dobbiamo sbrigarci a tagliar rami - dissi. - Sei sicuro che non l'ho preso il secondo? - - Non credo - disse Aymo. - Per una pistola era troppo lontano. –
- Porco d'un lavativo - disse Piani. Tutti adesso tagliavamo rami e sterpi. L'ambulanza era stata scaricata completamente. Bonello scavava davanti alle ruote. Quando ci sembrò che andasse bene, Aymo accese il motore e innestò la marcia. Le ruote slittarono schizzando fango e sterpi, Bonello ed io spingemmo fino a sentir gemere le articolazioni. La vettura non voleva muoversi.
- Spingi un po' indietro e poi avanti, Barto - dissi.
Innestò marcia indietro e poi marcia avanti. Ottenne solo che le ruote affondassero di più. La macchina poggiò di nuovo sul differenziale e le ruote giravano a vuoto dentro le buche. Mi raddrizzai.
- Proviamo con una corda - dissi.
- Credo che non serva a nulla, Tenente. Non si può tirar bene. –
- Bisogna tentare - dissi. - Non c'è altro mezzo per farla venir fuori. -
Le ambulanze di Piani e di Bonello potevano solo avanzare per la strada stretta. Legammo una corda a tutt'e due insieme e tirammo. Le ruote si spostarono solo lateralmente, contro il bordo della carreggiata.
- Non va bene - gridai. - Ferma. -
Piani e Bonello scesero e vennero da me. Aymo uscì anche lui dalla vettura paralizzata. Le ragazze erano rimaste sedute su un muricciolo di sassi, a una ventina di metri.
- Cosa dice di fare Tenente? - domandò Bonello.
- Scaviamo davanti alle ruote e proviamo ancora coi rami - dissi.
Guardai lungo la strada. Era colpa mia. Li avevo condotti io da quella parte.
Il sole stava affacciandosi tra le nubi. Il cadavere del sergente era rimasto lungo la siepe.
- Metteremo sotto anche la sua giubba e la mantellina - dissi. Bonello andò a prenderle. Tagliai altri rami, Aymo e Piani scavarono davanti alle ruote e nel mezzo. Feci in due pezzi la mantellina, li sistemai sotto le ruote e sopra ammucchiai gli sterpi. Eravamo pronti. Aymo tornò al volante e mise in moto. Ma le ruote giravano a vuoto, spingevamo e spingevamo senza ottener nulla.
- Niente da fare - dissi. - Hai qualche cosa da prendere dalla macchina, Barto? -
Aymo col formaggio, due bottiglie di vino e il suo cappotto salì nell'ambulanza di Bonello. Bonello al volante guardava nella giubba del sergente.
- E' meglio gettarla via quella giubba - dissi. - E che ne facciamo delle vergini di Barto? –
- Possono salire anche loro - disse Piani. - Non credo ci sia molta strada. Aprii la portiera in fondo. - Andiamo - dissi. - Salite. - Salirono e si sedettero in un angolo. Sembrava che non si fossero neppur accorte dei colpi. Guardai un'ultima volta al sergente: era là disteso, con la sua maglia sporca dalle maniche lunghe. Mi misi accanto a Piani e partimmo. Volevamo tentar di tagliare per il prato. Quando entrammo nel prato scesi e camminai davanti; se si riusciva a passare, c'era una strada dall'altra parte. Ma non si riuscì a passare. Era troppo pantanoso e molle per le ambulanze. Quando furono ferme definitivamente, senza speranza, le ruote affondate fino ai mozzi, le lasciammo nel prato e ci incamminammo verso Udine. Arrivammo alla strada che riportava alla nazionale. Indicai la direzione, alle nostre compagne.
- Laggiù - dissi. - Incontrerete gente. -
Mi guardarono senza espressione. Presi il portafoglio e diedi dieci lire a ciascuna. - La strada è questa - dissi facendo segno. - Amici! Famiglia! - Non capivano. Ma strinsero forte il danaro nella mano e si avviarono in quella direzione.
Si voltavano a guardare come impaurite per le dieci lire. Le seguii con lo sguardo mentre camminavano, strette nei loro scialli e voltandosi ancora con paura. I tre conducenti ridevano.
- Quanto mi dà se vado anch'io da quella parte, Tenente? - chiese Bonello.
- Se arrivano gli austriaci è meglio che si trovino in mezzo a tanta gente - dissi.
- Mi dia duecento lire e vado dritto in Austria - disse Bonello.
- Te le toglierebbero loro - disse Piani.
- Forse finirà prima la guerra - disse Aymo. Camminavamo più in fretta che si poteva. Il sole tentava d'affacciarsi. Ai lati della strada c'erano filari di gelsi, attraverso i rami scorgevo ancora le due grosse ambulanze impantanate nel prato. Anche Piani si voltò a guardare.
- Dovranno far una strada apposta per tirarle fuori - disse.
- Cristo se avessimo delle biciclette! - disse Bonello.
- Usano molto le biciclette in America? - domandò Aymo.
- Sì, le usavamo una volta. –
- Qui da noi è una gran cosa - disse. - E' una gran cosa la bicicletta. –
- Cristo, se avessimo delle biciclette! - ripetè Bonello. - Io non posso dirmi un marciatore. - - Sparano? - domandai. Mi pareva d'avvertire dei colpi lontani.
- Non so - disse Aymo. Si mise in ascolto.
- Mi pare di sì - disse.
- Per prima vedremo la cavalleria - disse Piani.
- Non credo che impieghino la cavalleria. –
- Spero di no, Cristo - disse Bonello. - Non ho voglia che mi infilino su qualche lancia. –
- L'ha colpito bene quel sergente - mi disse Piani.
Camminavamo svelti.
- Sono stato io a freddarlo - disse Bonello. - Non avevo ucciso mai nessuno in questa guerra, ma per tutta la mia vita ho sognato d'ammazzare un sergente. –
- L'hai finito proprio da campione - disse Piani. - Era già steso. Non volava forte quando l'hai ucciso. –
- Non importa, è una cosa di cui sarò sempre orgoglioso. Sono stato io a finirlo quel fottuto di sergente. –
- Cosa dirai al confessore? - domandò Aymo.
- Gli dirò “Padre mi benedica ho ucciso un sergente”. - Tutti risero.
- E' un anarchico - disse Piani. - Non va in chiesa. –
- Anche Piani è anarchico - disse Bonello.
- Siete proprio anarchici? - domandai.
- No, Tenente, siamo socialisti. Siamo di Imola. –
- Lei non è mai stato a Imola? - domandò Piani.
- No. –
- Cristo che bel posto Tenente! Venga dopo la guerra e vedrà. –
- Sono tutti socialisti da voi? –
- Tutti. –
- E' bella veramente Imola? –
- E' magnifica. Una città così non l'ha mai vista. –
- Come lo siete diventati socialisti? –
- Là, siamo tutti socialisti. Non c'è nessuno che non sia socialista. Siamo sempre stati socialisti. –
- Ci venga, Tenente. Faremo socialista anche lei. -
Davanti a noi la strada girava a sinistra, c'era una collina e dietro un muricciolo di pietre un frutteto folto di meli. Quando la strada incominciò a salire non parlavamo più. Si camminava tutti insieme a passo svelto come contro il tempo.
A mezzogiorno ci trovammo bloccati nel fango di una strada che, a quanto si poteva calcolare, ci aveva portati a una diecina di chilometri da Udine. Fin dal mattino era cessato di piovere e avevamo sentito tre volte gli aeroplani. Li avevamo visti passare sopra di noi e dirigersi verso sinistra a bombardare la strada maestra. C'eravamo districati abilmente in una rete di strade secondarie, anche a forza di marce indietro quando non c'era altro da fare, e ci si era avvicinati sempre più a Udine; ma adesso la vettura di Aymo, durante una nuova marcia indietro, era sprofondata nella terra molle appena fuori di strada e le ruote a forza di girare avevano scavato tanto da far toccare il differenziale. Non c'era altro rimedio che scavare ancora davanti alle ruote, ricoprire il terriccio di sterpi finché potessero far presa e poi spingere e riportare la macchina sulla strada. Eravamo scesi tutti, stavamo intorno all'ambulanza. I sergenti le diedero un'occhiata, esaminarono le ruote e poi si incamminarono senza una parola. Corsi loro dietro.
- Venite - dissi. - Bisogna tagliare dei rami. –
- Noi dobbiamo andare - disse uno dei due.
- Sbrigatevi - dissi. - Tagliate rami anche voi. –
- Dobbiamo andarcene - ripeté quello. L'altro non parlava. Avevano fretta di sparire, le mie parole non contavano niente.
- Vi ordino di tornare indietro e d'aiutarci – dissi. Uno si voltò.
- Dobbiamo andare. Tra poco sarete tagliati fuori. Lei non può darci ordini, non è un ufficiale dei nostri. –
- Vi ordino di aiutarci - dissi. Mi voltarono definitivamente le spalle e continuarono per la loro strada.
- Fermatevi - esclamai. Continuarono a sfangare fra le siepi che costeggiavano la strada.
- Alt!, ve lo ordino - gridai. Affrettarono ancora il passo. Aprii la fondina e presi la pistola, mirai a quello che aveva parlato di più e tirai. Lo mancai e tutt'e due si misero a correre. Sparai tre colpi e ne stesi uno, l'altro scavalcò la siepe e gli sparai di nuovo mentre correva nel prato, la pistola scattò a vuoto e misi un altro caricatore ma poi vidi che non ce la facevo più a raggiungerlo.
Correva ancora, a testa bassa, sempre più in là nella campagna. Stavo rimettendo le cartucce nel caricatore vuoto quando Bonello si avvicinò.
- Lasci che lo finisca io - disse. Gli passai la pistola. Si avvicinò al sergente che era rimasto bocconi in mezzo alla strada, gli si chinò accanto, gli appoggiò la pistola contro la tempia e fece per sparare.
Il colpo non partì.
- Devi armarla - dissi. Alzò il cane e fece fuoco due volte. Prese il sergente per le gambe e lo trascinò da lato, lungo la siepe, poi tornò da me e mi restituì la pistola.
- Figlio d'un cane - disse guardando verso il sergente. - Sono stato io a ucciderlo, vero Tenente? –
- Ora dobbiamo sbrigarci a tagliar rami - dissi. - Sei sicuro che non l'ho preso il secondo? - - Non credo - disse Aymo. - Per una pistola era troppo lontano. –
- Porco d'un lavativo - disse Piani. Tutti adesso tagliavamo rami e sterpi. L'ambulanza era stata scaricata completamente. Bonello scavava davanti alle ruote. Quando ci sembrò che andasse bene, Aymo accese il motore e innestò la marcia. Le ruote slittarono schizzando fango e sterpi, Bonello ed io spingemmo fino a sentir gemere le articolazioni. La vettura non voleva muoversi.
- Spingi un po' indietro e poi avanti, Barto - dissi.
Innestò marcia indietro e poi marcia avanti. Ottenne solo che le ruote affondassero di più. La macchina poggiò di nuovo sul differenziale e le ruote giravano a vuoto dentro le buche. Mi raddrizzai.
- Proviamo con una corda - dissi.
- Credo che non serva a nulla, Tenente. Non si può tirar bene. –
- Bisogna tentare - dissi. - Non c'è altro mezzo per farla venir fuori. -
Le ambulanze di Piani e di Bonello potevano solo avanzare per la strada stretta. Legammo una corda a tutt'e due insieme e tirammo. Le ruote si spostarono solo lateralmente, contro il bordo della carreggiata.
- Non va bene - gridai. - Ferma. -
Piani e Bonello scesero e vennero da me. Aymo uscì anche lui dalla vettura paralizzata. Le ragazze erano rimaste sedute su un muricciolo di sassi, a una ventina di metri.
- Cosa dice di fare Tenente? - domandò Bonello.
- Scaviamo davanti alle ruote e proviamo ancora coi rami - dissi.
Guardai lungo la strada. Era colpa mia. Li avevo condotti io da quella parte.
Il sole stava affacciandosi tra le nubi. Il cadavere del sergente era rimasto lungo la siepe.
- Metteremo sotto anche la sua giubba e la mantellina - dissi. Bonello andò a prenderle. Tagliai altri rami, Aymo e Piani scavarono davanti alle ruote e nel mezzo. Feci in due pezzi la mantellina, li sistemai sotto le ruote e sopra ammucchiai gli sterpi. Eravamo pronti. Aymo tornò al volante e mise in moto. Ma le ruote giravano a vuoto, spingevamo e spingevamo senza ottener nulla.
- Niente da fare - dissi. - Hai qualche cosa da prendere dalla macchina, Barto? -
Aymo col formaggio, due bottiglie di vino e il suo cappotto salì nell'ambulanza di Bonello. Bonello al volante guardava nella giubba del sergente.
- E' meglio gettarla via quella giubba - dissi. - E che ne facciamo delle vergini di Barto? –
- Possono salire anche loro - disse Piani. - Non credo ci sia molta strada. Aprii la portiera in fondo. - Andiamo - dissi. - Salite. - Salirono e si sedettero in un angolo. Sembrava che non si fossero neppur accorte dei colpi. Guardai un'ultima volta al sergente: era là disteso, con la sua maglia sporca dalle maniche lunghe. Mi misi accanto a Piani e partimmo. Volevamo tentar di tagliare per il prato. Quando entrammo nel prato scesi e camminai davanti; se si riusciva a passare, c'era una strada dall'altra parte. Ma non si riuscì a passare. Era troppo pantanoso e molle per le ambulanze. Quando furono ferme definitivamente, senza speranza, le ruote affondate fino ai mozzi, le lasciammo nel prato e ci incamminammo verso Udine. Arrivammo alla strada che riportava alla nazionale. Indicai la direzione, alle nostre compagne.
- Laggiù - dissi. - Incontrerete gente. -
Mi guardarono senza espressione. Presi il portafoglio e diedi dieci lire a ciascuna. - La strada è questa - dissi facendo segno. - Amici! Famiglia! - Non capivano. Ma strinsero forte il danaro nella mano e si avviarono in quella direzione.
Si voltavano a guardare come impaurite per le dieci lire. Le seguii con lo sguardo mentre camminavano, strette nei loro scialli e voltandosi ancora con paura. I tre conducenti ridevano.
- Quanto mi dà se vado anch'io da quella parte, Tenente? - chiese Bonello.
- Se arrivano gli austriaci è meglio che si trovino in mezzo a tanta gente - dissi.
- Mi dia duecento lire e vado dritto in Austria - disse Bonello.
- Te le toglierebbero loro - disse Piani.
- Forse finirà prima la guerra - disse Aymo. Camminavamo più in fretta che si poteva. Il sole tentava d'affacciarsi. Ai lati della strada c'erano filari di gelsi, attraverso i rami scorgevo ancora le due grosse ambulanze impantanate nel prato. Anche Piani si voltò a guardare.
- Dovranno far una strada apposta per tirarle fuori - disse.
- Cristo se avessimo delle biciclette! - disse Bonello.
- Usano molto le biciclette in America? - domandò Aymo.
- Sì, le usavamo una volta. –
- Qui da noi è una gran cosa - disse. - E' una gran cosa la bicicletta. –
- Cristo, se avessimo delle biciclette! - ripetè Bonello. - Io non posso dirmi un marciatore. - - Sparano? - domandai. Mi pareva d'avvertire dei colpi lontani.
- Non so - disse Aymo. Si mise in ascolto.
- Mi pare di sì - disse.
- Per prima vedremo la cavalleria - disse Piani.
- Non credo che impieghino la cavalleria. –
- Spero di no, Cristo - disse Bonello. - Non ho voglia che mi infilino su qualche lancia. –
- L'ha colpito bene quel sergente - mi disse Piani.
Camminavamo svelti.
- Sono stato io a freddarlo - disse Bonello. - Non avevo ucciso mai nessuno in questa guerra, ma per tutta la mia vita ho sognato d'ammazzare un sergente. –
- L'hai finito proprio da campione - disse Piani. - Era già steso. Non volava forte quando l'hai ucciso. –
- Non importa, è una cosa di cui sarò sempre orgoglioso. Sono stato io a finirlo quel fottuto di sergente. –
- Cosa dirai al confessore? - domandò Aymo.
- Gli dirò “Padre mi benedica ho ucciso un sergente”. - Tutti risero.
- E' un anarchico - disse Piani. - Non va in chiesa. –
- Anche Piani è anarchico - disse Bonello.
- Siete proprio anarchici? - domandai.
- No, Tenente, siamo socialisti. Siamo di Imola. –
- Lei non è mai stato a Imola? - domandò Piani.
- No. –
- Cristo che bel posto Tenente! Venga dopo la guerra e vedrà. –
- Sono tutti socialisti da voi? –
- Tutti. –
- E' bella veramente Imola? –
- E' magnifica. Una città così non l'ha mai vista. –
- Come lo siete diventati socialisti? –
- Là, siamo tutti socialisti. Non c'è nessuno che non sia socialista. Siamo sempre stati socialisti. –
- Ci venga, Tenente. Faremo socialista anche lei. -
Davanti a noi la strada girava a sinistra, c'era una collina e dietro un muricciolo di pietre un frutteto folto di meli. Quando la strada incominciò a salire non parlavamo più. Si camminava tutti insieme a passo svelto come contro il tempo.
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