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17 giugno 2015

Ovidio - Eroidi. Paride a Elena

Omar Ortiz - Nenufares
Ovidio - Eroidi. Paride a Elena

Io, figlio di Priamo, invio a te, figlia di Leda, quell'augurio di bene che a me può essere concesso solo se sei tu a donarlo. Devo parlare, o non c'è bisogno di rivelare una passione già nota, ed il mio amore appare ormai più evidente di quanto io vorrei? Preferirei che restasse nascosto, finché giungano tempi in cui non si confondano alla gioia i timori. Ma io so fingere male. Chi infatti potrebbe nascondere il fuoco, che viene sempre tradito dal suo stesso bagliore? E se ti aspetti che io aggiunga anche un nome a ciò che mi accade, brucio! - ecco la parola che ti svela il mio sentimento. Ti prego, perdona la mia confessione e non leggere il resto con espressione severa, ma conforme alla tua bellezza. Mi fa già molto piacere il fatto che tu abbia accolto la mia lettera, questo mi dà la speranza di essere accolto anch'io in modo simile. E mi auguro che questa speranza si realizzi e la madre di Amore, che mi spinse a questo viaggio, non ti abbia promessa invano: è su consiglio divino - perché tu non debba sbagliare non sapendolo - che sono condotto qui ed una divinità non senza importanza mi assiste in questa impresa. Io aspiro certamente ad una ricompensa grande, ma che mi spetta: Citerea ti ha promessa al mio talamo. Sotto la sua guida, dalla riva del Sigeo affrontai rotte pericolose attraverso il vasto mare, su di una nave costruita da Ferecle. Lei mi ha procurato docili brezze e venti favorevoli: lei, che è nata dal mare, sul mare ha naturalmente potere. Continui e, come quello del mare, così governi l'impeto del mio cuore e conduca al loro porto anche i miei desideri! Queste fiamme di passione le ho portate con me, non le ho trovate qui: sono state loro il motivo del mio così lungo viaggio. Perché non mi ha fatto approdare qui infatti una rovinosa tempesta, né un errore di rotta: la mia flotta era diretta alla terra del Tenaro. E non pensare che io solchi il mare su di una nave che trasporta mercanzie. Mi conservino gli dèi solo le mie ricchezze! E non vengo alle città greche come visitatore; le città del mio regno sono più ricche. Te io cerco, che l'aurea Venere ha promesso al mio letto; te ho desiderato, ancor prima di conoscerti. Ho visto il tuo volto con la mente prima che con lo sguardo, la fama fu la prima messaggera del tuo volto. E tuttavia non c'è da stupirsi se, come deve accadere, colpito a distanza dalle frecce scagliate dall'arco, mi sono innamorato. Così piacque al destino e, perché tu non cerchi di sconvolgerlo, ascolta quanto ti dico con sincerità e lealtà. Ero ancora trattenuto nell'utero materno per un ritardo del parto; il ventre era già gravido del giusto peso. A mia madre sembrò in sogno di partorire dal suo ventre pregno una fiaccola ardente. Terrorizzata si alza e riferisce a Priamo, e questi agli indovini, la paurosa visione di quella notte tenebrosa; un indovino vaticina che Ilio brucerà per il fuoco di Paride: a giudicare da ora, era quella la fiaccola che brucia nel mio petto! La mia bellezza e la forza del mio coraggio, sebbene io sembrassi provenire dal popolo, erano indizio della mia segreta nobiltà. C'è un luogo nelle boscose valli, nel cuore dell'Ida, fuori mano e folto di pini e di lecci, dove non brucano né le pecore mansuete, né le caprette amiche delle rocce, né la lenta giovenca con la sua larga bocca. Per spingere lo sguardo di là sulle mura e gli alti palazzi della città di Dardano ed il mare, mi ero appoggiato ad un albero: ecco che mi sembrò che la terra tremasse per un calpestio di passi - dirò cose vere, ma che si potranno credere a stento -, si presentò davanti ai miei occhi, condotto da ali veloci, il nipote del grande Atlante e di Pleione - mi fu concesso vederlo, mi sia lecito riferire ciò che vidi - e fra le dita del dio c'era il caduceo d'oro. E in quel momento, contemporaneamente, tre dee, Venere e Giunone con Pallade, posarono i piedi delicati sull'erba. Rimasi stupefatto ed un brivido agghiacciante mi fece rizzare i capelli, quando il messaggero alato mi disse: "Non avere paura; tu sei il giudice della bellezza: poni fine alla contesa delle dee, dichiara quale sia l'unica degna di vincere in bellezza le altre due". Perché non mi tirassi indietro, mi dà l'ordine in nome di Giove e subito sale verso le stelle, per la via celeste. Il mio animo si rinfrancò, subito presi coraggio e non ebbi timore di esaminare ciascuna con lo sguardo. Tutte meritavano di vincere e, come giudice, mi dispiaceva che tutte non potessero vincere la loro causa. Tuttavia fra di loro già allora una mi piaceva di più e, come puoi intuire, era colei che ispira l'amore. Grande è il loro desiderio di vincere: ardono dalla voglia di influenzare il mio giudizio con doni straordinari. La consorte di Giove promette regni, la figlia valore; io non so se voler essere potente o valoroso. Venere sorrise dolcemente e: "Non farti tentare dai doni, Paride, entrambi sono gravidi di angoscioso timore", disse. "Io ti darò un amore e la figlia della bella Leda, ancor più bella di lei, si offrirà al tuo abbraccio!". Parlò e, prescelta ugualmente sia per il dono, che per la sua bellezza, la dea tornò in cielo vittoriosa. Nel frattempo, mutatosi al meglio, credo, il mio destino, vengo riconosciuto come figlio del re attraverso indizi sicuri. La reggia è lieta per il figlio riacquistato dopo lungo tempo e Troia aggiunge ai giorni festivi anche questo. E come io desidero te, così le fanciulle volevano me: tu hai la possibilità di possedere da sola quello che desiderano tante donne. E non mi desideravano soltanto le figlie di re e di condottieri, ma fui anche oggetto d'amore e d'affanni per le ninfe ... rispetto a te nessuna nuora è degna di Priamo. Ma mi sono venute tutte quante a noia, dopo che si presentò la speranza di un matrimonio con te, figlia di Tindaro. Te avevo da sveglio negli occhi, te di notte nella mente, quando le palpebre si chiudono, vinte dal placido sonno. Che effetto avresti prodotto in me di persona, se mi piacevi senza che ancora ti avessi vista? Bruciavo, nonostante il fuoco fosse qui, lontano, e non potei più a lungo negare a me stesso questa speranza, senza cercare di raggiungere l'oggetto dei miei desideri attraverso l'azzurra via del mare. Le pinete troiane vengono abbattute dalla scure frigia e ogni albero adatto alle acque del mare: il Gargaro scosceso è spogliato delle sue alte foreste e l'Ida, per quanto si estende, mi fornisce legname a non finire. Vengono incurvati i legni di quercia per costruire la struttura delle navi veloci e lo scafo ricurvo è connesso all'ossatura. Aggiungiamo il pennone e le vele appese all'albero e la poppa ricurva accoglie le immagini dipinte degli dèi; ma nella nave da cui sono trasportato è dipinta la dea garante delle nozze promesse, accompagnata dal piccolo Cupido. Dopo che furono dati gli ultimi ritocchi alla flotta ormai allestita, mi venne subito il desiderio di attraversare le acque dell'Egeo. Mio padre e mia madre frenano i miei desideri con le suppliche e con parole commoventi ritardano il viaggio prestabilito. E mia sorella Cassandra, così com'era, con i capelli scompigliati, mentre ormai le nostre navi volevano salpare grida: "Dove corri? Porterai indietro con te un incendio! Tu non sai quanto fuoco vai a cercare attraverso questo mare!". La profetessa predisse la verità: ho trovato il fuoco di cui parlava ed un amore indomabile divampa nel mio tenero cuore. Esco dal porto e, col favore dei venti approdo alla tua terra, ninfa Ebalia. Tuo marito mi offre la sua ospitalità: anche questo avviene non senza il volere ed il consenso degli dèi. Ed egli mi mostra quanto in tutta Sparta era notevole e degno di essere mostrato. Ma per me che bramavo di vedere la tua decantata bellezza, non c'era niente altro da cui i miei occhi potessero essere attratti. Come ti vidi, rimasi stordito e avvertii con sbigottimento che il mio cuore, nel profondo, si gonfiava di pene sconosciute. Per quanto mi ricordo, Venere aveva un aspetto simile a questo, quando si presentò al mio giudizio. Se tu fossi venuta a quella gara assieme a lei, la vittoria di Venere sarebbe stata in pericolo. La fama, certo, ha fatto di te grandi elogi e non c'è terra che non conosca la tua bellezza: in nessun luogo, né in Frigia, né là dove sorge il sole, un'altra ha, fra le belle, una rinomanza pari alla tua. Mi credi anche in questo? La tua gloria è inferiore alla realtà e la fama è quasi invidiosa della tua bellezza. Io trovo qui più di quello che essa aveva promesso e la tua fama è superata dalla sua causa. A ragione perciò Teseo, che conosceva tutto, si infiammò d'amore e tu apparisti preda adeguata ad un così grande eroe, mentre, secondo l'usanza della tua gente, ti esercitavi nuda nella palestra rilucente ed eri donna nuda fra uomini nudi. Approvo che ti abbia rapita, mi stupisco che ti abbia restituita: una preda così preziosa doveva essere trattenuta per sempre. Questa mia testa si sarebbe dovuta staccare dal collo insanguinato, prima che tu fossi strappata via dal mio letto. Avrebbero mai voluto le mie mani lasciarti andare? Avrei sopportato, restando vivo, che tu ti allontanassi dalle mie braccia? Se ti avessi dovuto restituire, tuttavia prima avrei preso qualcosa ed il mio amore non sarebbe stato del tutto inattivo: o avrei colto la tua verginità, o quello che si poteva prendere, lasciando intatta la tua verginità. Tu, solo, concediti. Conoscerai qual'è la costanza di Paride: solo la fiamma del rogo spegnerà le mie fiamme. Io ti ho anteposto ai regni che una volta mi promise la più grande delle dee, la sposa e sorella di Giove; purché io potessi cingere con le mie braccia il tuo collo, non ho tenuto in nessun conto il valore che Pallade mi offriva. Non me ne pento e mai mi sembrerà di aver fatto una scelta sconsiderata. La mia mente si mantiene salda nel suo desiderio; solo questo ti chiedo, non permettere che la mia speranza divenga vana, tu, che meriti di essere conquistata con tanta fatica! Io non sono un uomo di origini oscure che aspira alle nozze con una donna altolocata e, credimi, non ti dovrai vergognare di essere mia moglie. Se indaghi, troverai nella mia stirpe una Pleiade e Giove, per non parlare degli avi intermedi. Mio padre detiene il potere sull'Asia, di cui nessuna regione è più ricca e a stento la si può percorrere nei suoi territori sconfinati. Vedrai innumerevoli città e palazzi dorati e templi che dirai degni dei loro dèi; vedrai Ilio e le sue mura, fortificate da alte torri, costruite al suono della lira di Febo. Che cosa ti dovrei dire della popolazione e del gran numero di uomini? A mala pena quella terra può reggere il suo popolo. Le madri troiane ti verranno incontro in folta schiera ed il nostro palazzo non potrà contenere le fanciulle frigie. Oh quante volte dirai: "Come è povera la mia Acaia!"; da sola una casa qualunque possiederà le ricchezze di tutta una città. Ma non mi potrei permettere di disprezzare la vostra Sparta: la terra in cui tu sei nata è per me una terra ricca. Sparta però è austera, mentre tu sei degna di un ricco tenore di vita: questo posto non si addice ad una bellezza simile; si addice invece a questa bellezza servirsi senza limite di ricchi ornamenti ed immergersi in raffinatezze sempre nuove. Quando vedi l'eleganza degli uomini del mio popolo, quale credi che sia quella delle donne dardanie? Sii soltanto accondiscendente nel concederti a me e non disdegnare un marito frigio, tu fanciulla nata nella campagna di Terapne. Era frigio e nato dal nostro sangue, colui che ora in cielo con gli dèi mescola l'acqua con il nettare per le loro bevande; frigio era lo sposo di Aurora, eppure la dea che pone fine all'ultimo tratto della notte, se lo portò via; frigio era anche Anchise, con il quale la madre degli Amori alati si compiace di essersi unita sulle pendici dell'Ida. E io non ritengo che, messi a confronto la bellezza e gli anni, Menelao sia, a tuo giudizio da preferire a me. Non ti darò certamente un suocero che metta in fuga la fulgente luce del sole e allontani dal banchetto i cavalli inorriditi. Né Priamo ha un padre che si è macchiato di sangue per l'uccisione del suocero e che con il suo delitto dà il nome al mare Mirtoo. Né un mio antenato tenta di cogliere frutti nelle onde dello Stige o cerca da bere nel mezzo delle acque. Che importa, tuttavia, se ti tiene legata a sé uno nato da costoro e Giove è costretto ad essere suocero in questa casa? Che delitto! Lui, che non ne è degno, ti possiede per notti intere e gode dei tuoi amplessi. Io, invece, ti posso vedere appena quando finalmente viene imbandita la mensa e anche questo tempo presenta molte occasioni che mi feriscono. Capitino ai miei nemici conviti di questo genere, quali io spesso debbo sopportare quando si serve il vino! Mi rammarico di essere ospite quando questo zotico, sotto i miei occhi, ti getta le braccia al collo. Scoppio e mi ingelosisco - perché non dire tutto? - quando accarezza il tuo corpo gettandovi sopra una coperta. Ma quando di fronte a me vi scambiavate baci voluttuosi, ho preso la coppa e l'ho messa davanti ai miei occhi; abbasso lo sguardo quando lui ti tiene più stretta ed il cibo si accumula pesante nella bocca che lo rifiuta. Spesso ho emesso sospiri e mi sono accorto che tu, provocante, non ti trattenevi dal ridere per i miei sospiri. Molte volte desiderai spegnere col vino la fiamma d'amore, ma quella crebbe e l'ebbrezza aggiunse fuoco al fuoco. Per non vedere molte cose mi sdraio con la testa voltata, ma subito tu richiami il mio sguardo. Non so cosa fare: provo dolore a vedere queste cose, ma è un dolore ancora più grande avere il tuo volto lontano. Finché mi è lecito e posso, mi sforzo di nascondere il mio ardore, tuttavia l'amore per quanto nascosto trapela. Le mie non sono solo parole: tu senti le mie ferite, le senti! Almeno fossero note a te sola! Ah quante volte distolsi il mio viso, mentre mi salivano le lacrime agli occhi, perché lui non chiedesse il motivo del mio pianto! Ah quante volte, dopo aver bevuto, raccontai qualche storia d'amore facendo riferimento in ogni parola al tuo volto e sotto un nome fittizio lasciai intendere che si trattava di me: il vero innamorato, se non lo sai, ero io! Anzi, per potermi servire più sfacciatamente delle mie parole, simulai l'ubriachezza, e non una volta sola! Dalla tua tunica allentata, mi ricordo, si svelò il seno, che si offrì nudo al mio sguardo, seno più bianco della neve immacolata, o del latte, o di Giove quando abbracciò tua madre; mentre resto estasiato a quella vista - reggevo per caso una coppa -, mi sfuggì dalle dita il manico ricurvo. Se tu davi baci a tua figlia, con gioia io prontamente li prendevo dalle tenere labbra di Ermione. E ora supino cantavo gli antichi amori, ora, con un cenno, ti trasmettevo segnali segreti. Ultimamente ho anche osato avvicinare con parole affabili le più ragguardevoli delle tue accompagnatrici, Climene ed Etra, le quali non mi dissero altro se non che avevano paura e mi abbandonarono nel bel mezzo delle mie preghiere. Volessero gli dèi che tu fossi la ricompensa di una grande gara e che il vincitore potesse averti nel suo letto! Come Ippomene ebbe la figlia di Scheneo in premio della corsa, come Ippodamia fu accolta dall'abbraccio di un frigio, come il terribile Ercole spezzò le corna di Acheloo, che voleva i tuoi amplessi, o Deianira. A queste condizioni la mia audacia si sarebbe fatta avanti con impeto e tu sapresti di essere l'oggetto della mia fatica. Ora non mi resta altro, bellissima, se non supplicare e abbracciare, se me lo permetti, i tuoi piedi. O onore e gloria vivente dei fratelli gemelli, tu che saresti degna di Giove come marito, se non fossi nata da Giove o io raggiungerò il porto Sigeo con te come sposa, o qui, esule, io sia coperto dalla terra del Tenaro! Il mio petto non è stato sfiorato superficialmente dalla punta di una freccia, la mia ferita giunge fino alle ossa. Che sarei stato trafitto da una freccia celeste - lo ricordo -, questo lo aveva predetto mia sorella, che dice il vero. Elena, non disprezzare l'amore voluto dal destino, e possa tu avere gli dèi disponibili ai tuoi desideri! Molte cose mi vengono in mente, ma per parlarti più diffusamente di persona, accoglimi nel tuo letto, col silenzio della notte. O forse ti vergogni e temi di profanare l'amore coniugale e di tradire gli onesti diritti del letto legittimo? Ah Elena, troppo ingenua, per non dire arretrata, pensi che questa tua bellezza possa restare esente da colpa? È necessario o che tu cambi aspetto o che tu non sia inflessibile: è grande il contrasto fra castità e bellezza. Di questi amori furtivi gode Giove, gode l'aurea Venere: questi amori furtivi ti hanno dato Giove come padre. Difficilmente puoi diventare casta tu, che sei figlia di Giove e di Leda, se nel seme c'è l'essenza del carattere. Tuttavia, quando sarai nella mia Troia, allora ti prego, sii casta e sia io soltanto la tua colpa! Ora commettiamo quel peccato che il momento del matrimonio emenderà, se solo Venere non mi ha fatto una promessa vana. Ma è tuo marito stesso a indurti a questo, coi fatti, non con le parole: se ne sta lontano per non ostacolare l'amore furtivo del suo ospite. Non ha trovato momento più opportuno per visitare il regno di Creta: oh marito di straordinaria accortezza! Proprio quando stava per partire si fermò e disse: "Ti raccomando, moglie, di occuparti al posto mio dell'ospite dell'Ida". Sono testimone che tu trascuri le raccomandazioni di tuo marito assente: non hai cura alcuna del tuo ospite. E tu, figlia di Tindaro, speri che quest'uomo senza perspicacia possa saper comprendere sufficientemente il valore della tua bellezza? Ti sbagli, non lo sa capire; se ritenesse grande il bene che possiede, non lo affiderebbe ad uno straniero. Anche se non ti sollecitassero né le mie parole, né la mia passione, siamo tuttavia indotti ad approfittare della sua stessa compiacenza, oppure saremo così sciocchi da superare persino lui stesso, se ci lasceremo scappare, senza sfruttarla, un'occasione tanto sicura. Ti porta l'amante quasi con le sue mani: approfitta dell'ingenuità di un marito che ti fa certe raccomandazioni. Te ne stai sola in un letto vuoto, per tutta la notte, lunga com'è; anch'io me ne sto solo in un letto vuoto; che piaceri comuni uniscano te a me e me a te: quella notte sarà più luminosa del mezzogiorno. Allora io giurerò per tutti gli dèi che vuoi tu e mi vincolerò con le mie parole a giuramenti solenni. Allora, se non è mal riposta la mia fiducia, una volta che io sia in tua presenza, ti convincerò a venire nel mio regno. Se ti vergogni e temi di dar l'impressione di avermi seguito, figurerò io, senza di te, colpevole di questo adulterio. Imiterò infatti il comportamento del figlio di Egeo e dei tuoi fratelli: non puoi essere toccata da un esempio più vicino. Teseo rapì te, quelli le figlie gemelle di Leucippo; io mi aggiungerò come quarto a questi esempi. C'è qui la flotta troiana equipaggiata con armi e uomini, i remi ed il vento renderanno subito veloce il viaggio. Te ne andrai, maestosa regina, per le città dardanie ed il popolo crederà di avere dinanzi una nuova dea. Ovunque porterai i tuoi passi, le fiamme bruceranno cinnamomo ed una vittima sacrificata stramazzerà sul terreno insanguinato. Mio padre, i fratelli e le sorelle con mia madre e tutte le donne troiane e Troia tutta ti recheranno doni. Ahimè, io ti rivelo appena una piccola parte del tuo futuro. Avrai più di quanto riporta la mia lettera. E non temere che al tuo rapimento faccia seguito una guerra crudele e che la Grecia potente raduni le sue forze. Di tante donne rapite in passato, forse qualcuna è stata rivendicata con le armi? Credimi, questo timore è senza fondamento. I Traci rapirono a nome di Aquilone la figlia di Eretteo, eppure la costa tracia fu al sicuro dalla guerra; Giasone di Pagase portò via sulla sua nuova nave la fanciulla del Fasi ed il territorio tessalo non fu aggredito dalle schiere dei Colchi. Teseo, che rapì anche te, rapì la figlia di Minosse, tuttavia Minosse non chiamò affatto alle armi i Cretesi. In queste situazioni, la paura è di solito più grande del pericolo: si ha vergogna di aver troppo temuto ciò che si è propensi a temere. Immagina tuttavia, se vuoi, che scoppi una grande guerra: anch'io sono potente, anche le mie armi recano danno. Le risorse militari dell'Asia non sono inferiori a quelle della vostra terra: è ricca di uomini, ricca in abbondanza di cavalli. Né Menelao, figlio di Atreo, avrà più coraggio di Paride o sarà da considerare superiore nelle armi. Quasi bambino, uccisi i nemici, mi riappropriai degli armenti rubati e di lì ebbe origine il mio nome. Quasi bambino vinsi in varie gare dei giovani, tra i quali si trovavano Deifobo ed Ilioneo. E perché tu non pensi che io sia temibile solo da vicino, sappi che la mia freccia si conficca nel punto da me voluto. Non puoi attribuire a lui queste imprese della mia prima giovinezza, non puoi dotare l'Atride della mia abilità! Anche se tu volessi dargli tutto, gli potrai forse dare Ettore come fratello? Egli da solo varrà quanto una moltitudine di soldati. Tu non sai quello che valgo e la mia forza ti è sconosciuta; non sai a quale uomo andrai sposa. Quindi o non sarai reclamata da alcuno strepito di guerra o gli accampamenti dorici dovranno soccombere al mio attacco. E tuttavia non riterrei sconveniente prendere le armi per una moglie così prestigiosa: le grandi ricompense spingono alla lotta. E anche tu, se per te si scontrerà il mondo intero, avrai per sempre fama tra i posteri. Solo, partendo di qui con il favore degli dèi, con intrepida speranza esigi i doni che ti ho promesso in piena fede.

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