Omar Ortiz - Nenufares
Ovidio - Eroidi. Paride a Elena
Io,
figlio di Priamo, invio a te, figlia di Leda, quell'augurio di bene che
a me può essere concesso solo se sei tu a donarlo. Devo parlare, o non
c'è bisogno di rivelare una passione già nota, ed il mio amore appare
ormai più evidente di quanto io vorrei? Preferirei che restasse
nascosto, finché giungano tempi in cui non si confondano alla gioia i
timori. Ma io so fingere male. Chi
infatti potrebbe nascondere il fuoco, che viene sempre tradito dal suo
stesso bagliore? E se ti aspetti che io aggiunga anche un nome a ciò che
mi accade, brucio! - ecco la parola che ti svela il mio sentimento. Ti
prego, perdona la mia confessione e non leggere il resto con espressione
severa, ma conforme alla tua bellezza. Mi fa già molto piacere il fatto
che tu abbia accolto la mia lettera, questo mi dà la speranza di essere
accolto anch'io in modo simile. E mi auguro che questa speranza si
realizzi e la madre di Amore, che mi spinse a questo viaggio, non ti
abbia promessa invano: è su consiglio divino - perché tu non debba
sbagliare non sapendolo - che sono condotto qui ed una divinità non
senza importanza mi assiste in questa impresa. Io aspiro certamente ad
una ricompensa grande, ma che mi spetta: Citerea ti ha promessa al mio
talamo. Sotto la sua guida, dalla riva del Sigeo affrontai rotte
pericolose attraverso il vasto mare, su di una nave costruita da
Ferecle. Lei mi ha procurato docili brezze e venti favorevoli: lei, che è
nata dal mare, sul mare ha naturalmente potere. Continui e, come quello
del mare, così governi l'impeto del mio cuore e conduca al loro porto
anche i miei desideri! Queste fiamme di passione le ho portate con me,
non le ho trovate qui: sono state loro il motivo del mio così lungo
viaggio. Perché non mi ha fatto approdare qui infatti una rovinosa
tempesta, né un errore di rotta: la mia flotta era diretta alla terra
del Tenaro. E non pensare che io solchi il mare su di una nave che
trasporta mercanzie. Mi conservino gli dèi solo le mie ricchezze! E non
vengo alle città greche come visitatore; le città del mio regno sono più
ricche. Te io cerco, che l'aurea Venere ha promesso al mio letto; te ho
desiderato, ancor prima di conoscerti. Ho visto il tuo volto con la
mente prima che con lo sguardo, la fama fu la prima messaggera del tuo
volto. E tuttavia non c'è da stupirsi se, come deve accadere, colpito a
distanza dalle frecce scagliate dall'arco, mi sono innamorato. Così
piacque al destino e, perché tu non cerchi di sconvolgerlo, ascolta
quanto ti dico con sincerità e lealtà. Ero ancora trattenuto nell'utero
materno per un ritardo del parto; il ventre era già gravido del giusto
peso. A mia madre sembrò in sogno di partorire dal suo ventre pregno una
fiaccola ardente. Terrorizzata si alza e riferisce a Priamo, e questi
agli indovini, la paurosa visione di quella notte tenebrosa; un indovino
vaticina che Ilio brucerà per il fuoco di Paride: a giudicare da ora,
era quella la fiaccola che brucia nel mio petto! La mia bellezza e la
forza del mio coraggio, sebbene io sembrassi provenire dal popolo, erano
indizio della mia segreta nobiltà. C'è un luogo nelle boscose valli,
nel cuore dell'Ida, fuori mano e folto di pini e di lecci, dove non
brucano né le pecore mansuete, né le caprette amiche delle rocce, né la
lenta giovenca con la sua larga bocca. Per spingere lo sguardo di là
sulle mura e gli alti palazzi della città di Dardano ed il mare, mi ero
appoggiato ad un albero: ecco che mi sembrò che la terra tremasse per un
calpestio di passi - dirò cose vere, ma che si potranno credere a
stento -, si presentò davanti ai miei occhi, condotto da ali veloci, il
nipote del grande Atlante e di Pleione - mi fu concesso vederlo, mi sia
lecito riferire ciò che vidi - e fra le dita del dio c'era il caduceo
d'oro. E in quel momento, contemporaneamente, tre dee, Venere e Giunone
con Pallade, posarono i piedi delicati sull'erba. Rimasi stupefatto ed
un brivido agghiacciante mi fece rizzare i capelli, quando il messaggero
alato mi disse: "Non avere paura; tu sei il giudice della bellezza:
poni fine alla contesa delle dee, dichiara quale sia l'unica degna di
vincere in bellezza le altre due". Perché non mi tirassi indietro, mi dà
l'ordine in nome di Giove e subito sale verso le stelle, per la via
celeste. Il mio animo si rinfrancò, subito presi coraggio e non ebbi
timore di esaminare ciascuna con lo sguardo. Tutte meritavano di vincere
e, come giudice, mi dispiaceva che tutte non potessero vincere la loro
causa. Tuttavia fra di loro già allora una mi piaceva di più e, come
puoi intuire, era colei che ispira l'amore. Grande è il loro desiderio
di vincere: ardono dalla voglia di influenzare il mio giudizio con doni
straordinari. La consorte di Giove promette regni, la figlia valore; io
non so se voler essere potente o valoroso. Venere sorrise dolcemente e:
"Non farti tentare dai doni, Paride, entrambi sono gravidi di angoscioso
timore", disse. "Io ti darò un amore e la figlia della bella Leda,
ancor più bella di lei, si offrirà al tuo abbraccio!". Parlò e,
prescelta ugualmente sia per il dono, che per la sua bellezza, la dea
tornò in cielo vittoriosa. Nel frattempo, mutatosi al meglio, credo, il
mio destino, vengo riconosciuto come figlio del re attraverso indizi
sicuri. La reggia è lieta per il figlio riacquistato dopo lungo tempo e
Troia aggiunge ai giorni festivi anche questo. E come io desidero te,
così le fanciulle volevano me: tu hai la possibilità di possedere da
sola quello che desiderano tante donne. E non mi desideravano soltanto
le figlie di re e di condottieri, ma fui anche oggetto d'amore e
d'affanni per le ninfe ... rispetto a te nessuna nuora è degna di
Priamo. Ma mi sono venute tutte quante a noia, dopo che si presentò la
speranza di un matrimonio con te, figlia di Tindaro. Te avevo da sveglio
negli occhi, te di notte nella mente, quando le palpebre si chiudono,
vinte dal placido sonno. Che effetto avresti prodotto in me di persona,
se mi piacevi senza che ancora ti avessi vista? Bruciavo, nonostante il
fuoco fosse qui, lontano, e non potei più a lungo negare a me stesso
questa speranza, senza cercare di raggiungere l'oggetto dei miei
desideri attraverso l'azzurra via del mare. Le pinete troiane vengono
abbattute dalla scure frigia e ogni albero adatto alle acque del mare:
il Gargaro scosceso è spogliato delle sue alte foreste e l'Ida, per
quanto si estende, mi fornisce legname a non finire. Vengono incurvati i
legni di quercia per costruire la struttura delle navi veloci e lo
scafo ricurvo è connesso all'ossatura. Aggiungiamo il pennone e le vele
appese all'albero e la poppa ricurva accoglie le immagini dipinte degli
dèi; ma nella nave da cui sono trasportato è dipinta la dea garante
delle nozze promesse, accompagnata dal piccolo Cupido. Dopo che furono
dati gli ultimi ritocchi alla flotta ormai allestita, mi venne subito il
desiderio di attraversare le acque dell'Egeo. Mio padre e mia madre
frenano i miei desideri con le suppliche e con parole commoventi
ritardano il viaggio prestabilito. E mia sorella Cassandra, così
com'era, con i capelli scompigliati, mentre ormai le nostre navi
volevano salpare grida: "Dove corri? Porterai indietro con te un
incendio! Tu non sai quanto fuoco vai a cercare attraverso questo
mare!". La profetessa predisse la verità: ho trovato il fuoco di cui
parlava ed un amore indomabile divampa nel mio tenero cuore. Esco dal
porto e, col favore dei venti approdo alla tua terra, ninfa Ebalia. Tuo
marito mi offre la sua ospitalità: anche questo avviene non senza il
volere ed il consenso degli dèi. Ed egli mi mostra quanto in tutta
Sparta era notevole e degno di essere mostrato. Ma per me che bramavo di
vedere la tua decantata bellezza, non c'era niente altro da cui i miei
occhi potessero essere attratti. Come ti vidi, rimasi stordito e
avvertii con sbigottimento che il mio cuore, nel profondo, si gonfiava
di pene sconosciute. Per quanto mi ricordo, Venere aveva un aspetto
simile a questo, quando si presentò al mio giudizio. Se tu fossi venuta a
quella gara assieme a lei, la vittoria di Venere sarebbe stata in
pericolo. La fama, certo, ha fatto di te grandi elogi e non c'è terra
che non conosca la tua bellezza: in nessun luogo, né in Frigia, né là
dove sorge il sole, un'altra ha, fra le belle, una rinomanza pari alla
tua. Mi credi anche in questo? La tua gloria è inferiore alla realtà e
la fama è quasi invidiosa della tua bellezza. Io trovo qui più di quello
che essa aveva promesso e la tua fama è superata dalla sua causa. A
ragione perciò Teseo, che conosceva tutto, si infiammò d'amore e tu
apparisti preda adeguata ad un così grande eroe, mentre, secondo
l'usanza della tua gente, ti esercitavi nuda nella palestra rilucente ed
eri donna nuda fra uomini nudi. Approvo che ti abbia rapita, mi
stupisco che ti abbia restituita: una preda così preziosa doveva essere
trattenuta per sempre. Questa mia testa si sarebbe dovuta staccare dal
collo insanguinato, prima che tu fossi strappata via dal mio letto.
Avrebbero mai voluto le mie mani lasciarti andare? Avrei sopportato,
restando vivo, che tu ti allontanassi dalle mie braccia? Se ti avessi
dovuto restituire, tuttavia prima avrei preso qualcosa ed il mio amore
non sarebbe stato del tutto inattivo: o avrei colto la tua verginità, o
quello che si poteva prendere, lasciando intatta la tua verginità. Tu,
solo, concediti. Conoscerai qual'è la costanza di Paride: solo la fiamma
del rogo spegnerà le mie fiamme. Io ti ho anteposto ai regni che una
volta mi promise la più grande delle dee, la sposa e sorella di Giove;
purché io potessi cingere con le mie braccia il tuo collo, non ho tenuto
in nessun conto il valore che Pallade mi offriva. Non me ne pento e mai
mi sembrerà di aver fatto una scelta sconsiderata. La mia mente si
mantiene salda nel suo desiderio; solo questo ti chiedo, non permettere
che la mia speranza divenga vana, tu, che meriti di essere conquistata
con tanta fatica! Io non sono un uomo di origini oscure che aspira alle
nozze con una donna altolocata e, credimi, non ti dovrai vergognare di
essere mia moglie. Se indaghi, troverai nella mia stirpe una Pleiade e
Giove, per non parlare degli avi intermedi. Mio padre detiene il potere
sull'Asia, di cui nessuna regione è più ricca e a stento la si può
percorrere nei suoi territori sconfinati. Vedrai innumerevoli città e
palazzi dorati e templi che dirai degni dei loro dèi; vedrai Ilio e le
sue mura, fortificate da alte torri, costruite al suono della lira di
Febo. Che cosa ti dovrei dire della popolazione e del gran numero di
uomini? A mala pena quella terra può reggere il suo popolo. Le madri
troiane ti verranno incontro in folta schiera ed il nostro palazzo non
potrà contenere le fanciulle frigie. Oh quante volte dirai: "Come è
povera la mia Acaia!"; da sola una casa qualunque possiederà le
ricchezze di tutta una città. Ma non mi potrei permettere di disprezzare
la vostra Sparta: la terra in cui tu sei nata è per me una terra ricca.
Sparta però è austera, mentre tu sei degna di un ricco tenore di vita:
questo posto non si addice ad una bellezza simile; si addice invece a
questa bellezza servirsi senza limite di ricchi ornamenti ed immergersi
in raffinatezze sempre nuove. Quando vedi l'eleganza degli uomini del
mio popolo, quale credi che sia quella delle donne dardanie? Sii
soltanto accondiscendente nel concederti a me e non disdegnare un marito
frigio, tu fanciulla nata nella campagna di Terapne. Era frigio e nato
dal nostro sangue, colui che ora in cielo con gli dèi mescola l'acqua
con il nettare per le loro bevande; frigio era lo sposo di Aurora,
eppure la dea che pone fine all'ultimo tratto della notte, se lo portò
via; frigio era anche Anchise, con il quale la madre degli Amori alati
si compiace di essersi unita sulle pendici dell'Ida. E io non ritengo
che, messi a confronto la bellezza e gli anni, Menelao sia, a tuo
giudizio da preferire a me. Non ti darò certamente un suocero che metta
in fuga la fulgente luce del sole e allontani dal banchetto i cavalli
inorriditi. Né Priamo ha un padre che si è macchiato di sangue per
l'uccisione del suocero e che con il suo delitto dà il nome al mare
Mirtoo. Né un mio antenato tenta di cogliere frutti nelle onde dello
Stige o cerca da bere nel mezzo delle acque. Che importa, tuttavia, se
ti tiene legata a sé uno nato da costoro e Giove è costretto ad essere
suocero in questa casa? Che delitto! Lui, che non ne è degno, ti
possiede per notti intere e gode dei tuoi amplessi. Io, invece, ti posso
vedere appena quando finalmente viene imbandita la mensa e anche questo
tempo presenta molte occasioni che mi feriscono. Capitino ai miei
nemici conviti di questo genere, quali io spesso debbo sopportare quando
si serve il vino! Mi rammarico di essere ospite quando questo zotico,
sotto i miei occhi, ti getta le braccia al collo. Scoppio e mi
ingelosisco - perché non dire tutto? - quando accarezza il tuo corpo
gettandovi sopra una coperta. Ma quando di fronte a me vi scambiavate
baci voluttuosi, ho preso la coppa e l'ho messa davanti ai miei occhi;
abbasso lo sguardo quando lui ti tiene più stretta ed il cibo si
accumula pesante nella bocca che lo rifiuta. Spesso ho emesso sospiri e
mi sono accorto che tu, provocante, non ti trattenevi dal ridere per i
miei sospiri. Molte volte desiderai spegnere col vino la fiamma d'amore,
ma quella crebbe e l'ebbrezza aggiunse fuoco al fuoco. Per non vedere
molte cose mi sdraio con la testa voltata, ma subito tu richiami il mio
sguardo. Non so cosa fare: provo dolore a vedere queste cose, ma è un
dolore ancora più grande avere il tuo volto lontano. Finché mi è lecito e
posso, mi sforzo di nascondere il mio ardore, tuttavia l'amore per
quanto nascosto trapela. Le mie non sono solo parole: tu senti le mie
ferite, le senti! Almeno fossero note a te sola! Ah quante volte
distolsi il mio viso, mentre mi salivano le lacrime agli occhi, perché
lui non chiedesse il motivo del mio pianto! Ah quante volte, dopo aver
bevuto, raccontai qualche storia d'amore facendo riferimento in ogni
parola al tuo volto e sotto un nome fittizio lasciai intendere che si
trattava di me: il vero innamorato, se non lo sai, ero io! Anzi, per
potermi servire più sfacciatamente delle mie parole, simulai
l'ubriachezza, e non una volta sola! Dalla tua tunica allentata, mi
ricordo, si svelò il seno, che si offrì nudo al mio sguardo, seno più
bianco della neve immacolata, o del latte, o di Giove quando abbracciò
tua madre; mentre resto estasiato a quella vista - reggevo per caso una
coppa -, mi sfuggì dalle dita il manico ricurvo. Se tu davi baci a tua
figlia, con gioia io prontamente li prendevo dalle tenere labbra di
Ermione. E ora supino cantavo gli antichi amori, ora, con un cenno, ti
trasmettevo segnali segreti. Ultimamente ho anche osato avvicinare con
parole affabili le più ragguardevoli delle tue accompagnatrici, Climene
ed Etra, le quali non mi dissero altro se non che avevano paura e mi
abbandonarono nel bel mezzo delle mie preghiere. Volessero gli dèi che
tu fossi la ricompensa di una grande gara e che il vincitore potesse
averti nel suo letto! Come Ippomene ebbe la figlia di Scheneo in premio
della corsa, come Ippodamia fu accolta dall'abbraccio di un frigio, come
il terribile Ercole spezzò le corna di Acheloo, che voleva i tuoi
amplessi, o Deianira. A queste condizioni la mia audacia si sarebbe
fatta avanti con impeto e tu sapresti di essere l'oggetto della mia
fatica. Ora non mi resta altro, bellissima, se non supplicare e
abbracciare, se me lo permetti, i tuoi piedi. O onore e gloria vivente
dei fratelli gemelli, tu che saresti degna di Giove come marito, se non
fossi nata da Giove o io raggiungerò il porto Sigeo con te come sposa, o
qui, esule, io sia coperto dalla terra del Tenaro! Il mio petto non è
stato sfiorato superficialmente dalla punta di una freccia, la mia
ferita giunge fino alle ossa. Che sarei stato trafitto da una freccia
celeste - lo ricordo -, questo lo aveva predetto mia sorella, che dice
il vero. Elena, non disprezzare l'amore voluto dal destino, e possa tu
avere gli dèi disponibili ai tuoi desideri! Molte cose mi vengono in
mente, ma per parlarti più diffusamente di persona, accoglimi nel tuo
letto, col silenzio della notte. O forse ti vergogni e temi di profanare
l'amore coniugale e di tradire gli onesti diritti del letto legittimo?
Ah Elena, troppo ingenua, per non dire arretrata, pensi che questa tua
bellezza possa restare esente da colpa? È necessario o che tu cambi
aspetto o che tu non sia inflessibile: è grande il contrasto fra castità
e bellezza. Di questi amori furtivi gode Giove, gode l'aurea Venere:
questi amori furtivi ti hanno dato Giove come padre. Difficilmente puoi
diventare casta tu, che sei figlia di Giove e di Leda, se nel seme c'è
l'essenza del carattere. Tuttavia, quando sarai nella mia Troia, allora
ti prego, sii casta e sia io soltanto la tua colpa! Ora commettiamo quel
peccato che il momento del matrimonio emenderà, se solo Venere non mi
ha fatto una promessa vana. Ma è tuo marito stesso a indurti a questo,
coi fatti, non con le parole: se ne sta lontano per non ostacolare
l'amore furtivo del suo ospite. Non ha trovato momento più opportuno per
visitare il regno di Creta: oh marito di straordinaria accortezza!
Proprio quando stava per partire si fermò e disse: "Ti raccomando,
moglie, di occuparti al posto mio dell'ospite dell'Ida". Sono testimone
che tu trascuri le raccomandazioni di tuo marito assente: non hai cura
alcuna del tuo ospite. E tu, figlia di Tindaro, speri che quest'uomo
senza perspicacia possa saper comprendere sufficientemente il valore
della tua bellezza? Ti sbagli, non lo sa capire; se ritenesse grande il
bene che possiede, non lo affiderebbe ad uno straniero. Anche se non ti
sollecitassero né le mie parole, né la mia passione, siamo tuttavia
indotti ad approfittare della sua stessa compiacenza, oppure saremo così
sciocchi da superare persino lui stesso, se ci lasceremo scappare,
senza sfruttarla, un'occasione tanto sicura. Ti porta l'amante quasi con
le sue mani: approfitta dell'ingenuità di un marito che ti fa certe
raccomandazioni. Te ne stai sola in un letto vuoto, per tutta la notte,
lunga com'è; anch'io me ne sto solo in un letto vuoto; che piaceri
comuni uniscano te a me e me a te: quella notte sarà più luminosa del
mezzogiorno. Allora io giurerò per tutti gli dèi che vuoi tu e mi
vincolerò con le mie parole a giuramenti solenni. Allora, se non è mal
riposta la mia fiducia, una volta che io sia in tua presenza, ti
convincerò a venire nel mio regno. Se ti vergogni e temi di dar
l'impressione di avermi seguito, figurerò io, senza di te, colpevole di
questo adulterio. Imiterò infatti il comportamento del figlio di Egeo e
dei tuoi fratelli: non puoi essere toccata da un esempio più vicino.
Teseo rapì te, quelli le figlie gemelle di Leucippo; io mi aggiungerò
come quarto a questi esempi. C'è qui la flotta troiana equipaggiata con
armi e uomini, i remi ed il vento renderanno subito veloce il viaggio.
Te ne andrai, maestosa regina, per le città dardanie ed il popolo
crederà di avere dinanzi una nuova dea. Ovunque porterai i tuoi passi,
le fiamme bruceranno cinnamomo ed una vittima sacrificata stramazzerà
sul terreno insanguinato. Mio padre, i fratelli e le sorelle con mia
madre e tutte le donne troiane e Troia tutta ti recheranno doni. Ahimè,
io ti rivelo appena una piccola parte del tuo futuro. Avrai più di
quanto riporta la mia lettera. E non temere che al tuo rapimento faccia
seguito una guerra crudele e che la Grecia potente raduni le sue forze.
Di tante donne rapite in passato, forse qualcuna è stata rivendicata con
le armi? Credimi, questo timore è senza fondamento. I Traci rapirono a
nome di Aquilone la figlia di Eretteo, eppure la costa tracia fu al
sicuro dalla guerra; Giasone di Pagase portò via sulla sua nuova nave la
fanciulla del Fasi ed il territorio tessalo non fu aggredito dalle
schiere dei Colchi. Teseo, che rapì anche te, rapì la figlia di Minosse,
tuttavia Minosse non chiamò affatto alle armi i Cretesi. In queste
situazioni, la paura è di solito più grande del pericolo: si ha vergogna
di aver troppo temuto ciò che si è propensi a temere. Immagina
tuttavia, se vuoi, che scoppi una grande guerra: anch'io sono potente,
anche le mie armi recano danno. Le risorse militari dell'Asia non sono
inferiori a quelle della vostra terra: è ricca di uomini, ricca in
abbondanza di cavalli. Né Menelao, figlio di Atreo, avrà più coraggio di
Paride o sarà da considerare superiore nelle armi. Quasi bambino,
uccisi i nemici, mi riappropriai degli armenti rubati e di lì ebbe
origine il mio nome. Quasi bambino vinsi in varie gare dei giovani, tra i
quali si trovavano Deifobo ed Ilioneo. E perché tu non pensi che io sia
temibile solo da vicino, sappi che la mia freccia si conficca nel punto
da me voluto. Non puoi attribuire a lui queste imprese della mia prima
giovinezza, non puoi dotare l'Atride della mia abilità! Anche se tu
volessi dargli tutto, gli potrai forse dare Ettore come fratello? Egli
da solo varrà quanto una moltitudine di soldati. Tu non sai quello che
valgo e la mia forza ti è sconosciuta; non sai a quale uomo andrai
sposa. Quindi o non sarai reclamata da alcuno strepito di guerra o gli
accampamenti dorici dovranno soccombere al mio attacco. E tuttavia non
riterrei sconveniente prendere le armi per una moglie così prestigiosa:
le grandi ricompense spingono alla lotta. E anche tu, se per te si
scontrerà il mondo intero, avrai per sempre fama tra i posteri. Solo,
partendo di qui con il favore degli dèi, con intrepida speranza esigi i
doni che ti ho promesso in piena fede.
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