Omar Ortiz - Flaming june
Ovidio - Eroidi. Fillide a Demofoonte
Io, la tua Fillide nata nella terra del Rodope, io che ti accolsi, o Demofoonte, lamento che tu stia lontano più del tempo avevi promesso. Avevi convenuto di tornare a gettare le ancore alle mie sponde quando le corna della luna si fossero riunite una prima volta a formare il disco completo. Per quattro volte la luna si è nascosta e per quattro volte ha completato nuovamente il suo disco, ma l'onda sitonia non porta con sé navi attiche. Se fai con precisione conto del tempo, che noi innamorati sappiamo calcolare bene, il mio lamento non giunge troppo presto. Anche la speranza è stata tarda a lasciarmi; non ci affrettiamo a credere alle cose che, se credute, ci procurano dolore; ma ora mi fanno male perché mio malgrado le credo, e continuo ad amarti. Spesso ho ingannato me stessa a tuo favore, spesso ho creduto che i venti tempestosi respingessero le tue bianche vele. Ho maledetto Teseo, perché non voleva lasciarti partire, ma forse non fu lui a ritardare il tuo viaggio. Talvolta ho temuto che mentre ti dirigevi verso le acque dell'Ebro, la tua nave naufragasse, sommersa dai flutti spumeggianti. Spesso con preghiere e sacrifici fumanti d'incenso ho supplicato gli dèi che tu, scellerato, fossi salvo. Spesso vedendo i venti favorevoli in cielo e sul mare mi sono detta: "Se sta bene, ritorna". Insomma il mio amore fedele ha immaginato qualunque ostacolo si può opporre a chi si affretta, e fui abile ad escogitare pretesti. Ma tu ti attardi lontano, non ti riportano indietro i giuramenti fatti sugli dèi e il nostro amore non ti sprona a tornare. Demofoonte, tu hai sciolto ai venti le vele e le tue promesse: lamento che le vele non abbiano ritorno e le parole sincerità. Dimmi, che cosa ho fatto se non amarti dissennatamente? Con la mia colpa, avrei potuto guadagnarmi la tua benevolenza? Mi si può accusare di un solo misfatto, di averti accolto, malvagio, ma questo misfatto ha assunto il peso ed il valore di un merito. Dove sono adesso i giuramenti, la fedeltà e la destra unita alla destra e quel dio più volte invocato dalla tua bocca menzognera? Dov'è ora Imeneo, promesso per gli anni di vita comune, che era per me garanzia e pegno di matrimonio? Mi hai giurato sul mare sconvolto dai venti e dalle onde, che spesso hai attraversato e che avevi l'intenzione di attraversare ancora, e su tuo nonno, se anch'egli non è frutto di invenzione, che placa le acque sconvolte dai venti, e su Venere e sulle armi anche troppo efficaci su di me, l'arma dell'arco e l'arma delle torce, e su Giunone che benigna protegge i talami nuziali e sui sacri misteri della dea che porta la fiaccola. Se di tanti che hai offeso, ciascun dio vendicasse la sua maestà oltraggiata, tu da solo non basterai per i loro castighi. E dire che io, folle, ho riparato le navi squarciate, affinché fosse solido lo scafo col quale tu potessi abbandonarmi e ti ho dato remi perché ti allontanassi, pronto a fuggire. Ahimè, soffro per le ferite inferte dalle mie stesse armi. Ho creduto alle tue parole carezzevoli, delle quali sei prodigo; ho creduto alla tua stirpe e ai tuoi avi illustri; ho creduto alle lacrime, o anche a queste si insegna a fingere? Anch'esse conoscono gli artifici e sgorgano a comando? Ho creduto anche agli dèi.
Perché tante garanzie per me? Una qualsiasi parte di esse sarebbe stata sufficiente a conquistarmi. E non rimpiango di averti aiutato concedendoti approdo e rifugio: ma questo avrebbe dovuto essere il limite massimo della mia generosità. Mi pento di aver aggiunto alla mia ospitalità il letto coniugale, coprendomi di vergogna, e di aver unito il mio fianco al tuo. Preferirei che la notte precedente a quella fosse stata l'ultima per me, quando io, Fillide, potevo morire ancora onorata. Ho sperato in meglio, perché credevo di averlo meritato: è legittima ogni speranza che deriva dal merito. Non è gloria conseguita faticosamente ingannare una fanciulla fiduciosa: la mia ingenuità avrebbe meritato riguardo. Sono stata ingannata dalle tue parole e come donna e come amante: concedano gli dèi che questo sia il tuo merito più alto! Ti si innalzi una statua nel centro della città, fra i discendenti di Egeo e ti stia dinanzi tuo padre, celebrato da iscrizioni onorifiche. E dopo aver letto di Scirone e del bieco Procuste e di Sini e dell'essere dalle fattezze di toro e insieme di uomo e di Tebe sottomessa in guerra e della sconfitta dei centauri bimembri e della violazione della cupa reggia del re delle tenebre, la tua statua, collocata dopo quelle con tante scritte sia contrassegnata da questo attestato d'onore: "Questi è colui che sedusse con l'inganno la donna che lo amava e che lo aveva ospitato". Delle tante imprese e gesta di tuo padre, solo l'abbandono della fanciulla cretese si è impresso nella tua mente; ammiri in lui quell'unico fatto, l'unico di cui dovrebbe scusarsi: tu ti comporti come erede dell'inganno di tuo padre, o traditore. Ma lei - non la invidio - gode di un marito migliore e siede in alto sul carro trainato dalle tigri aggiogate. Invece i Traci, che ho disdegnato, rifuggono dal matrimonio con me, perché si dice che ho anteposto uno straniero ai miei compatrioti. E qualcuno dice: "Se ne vada ormai alla dotta Atene; ci sarà un altro a governare la Tracia bellicosa: il risultato riconosce la validità delle azioni". Mi auguro che non abbia successo chiunque ritenga che le azioni vadano giudicate dal loro risultato. Ma se il mio mare spumeggiasse sotto i colpi dei tuoi remi, allora solo si dirà che ho provveduto bene a me e ai miei. Ma io non ho provveduto bene e tu non ti darai pensiero della mia reggia e non laverai le stanche membra nell'acqua bistonia. Mi rimane fissa negli occhi l'immagine della tua partenza, quando la flotta, pronta a salpare, era assiepata nel mio porto.
Osasti abbracciarmi e, abbandonato sul collo di chi ti amava, unire strettamente a lungo le nostre bocche nei baci e confondere le mie lacrime con le tue e rammaricarti perché la brezza era favorevole alle vele e, sul punto di partire, dirmi con le tue ultime parole: "Fillide, ti raccomando, aspetta il tuo Demofoonte!". Dovrei aspettare te, che sei partito per mai più rivedermi? Dovrei aspettare delle vele alle quali è interdetto il mio mare? E tuttavia aspetto. Torna, anche se tardi, da chi ti ama, fa' in modo che la tua promessa sia stata solo rinviata nel tempo. Ma che cosa mi auguro, sventurata? Ormai forse ti trattiene un'altra sposa e Amore che ci è stato avverso. Da quando la mia immagine ti è sfuggita dalla mente, tu non conosci più, credo, nessuna Fillide, se chiedi, ahimè, chi sia Fillide e da dove venga! Sono quella che offrì un porto in Tracia e ospitalità a te, Demofoonte, provato dal lungo errare; io che ho accresciuto i tuoi beni con i miei e che da ricca offrii molti doni a te nel bisogno, e molti te ne avrei ancora dati; sono colei che mise ai tuoi piedi l'immenso regno di Licurgo, poco adatto ad essere governato da una donna, dove il Rodope coperto di ghiacci si estende fino all'Emo ombroso e il sacro Ebro riversa nel mare le sue acque che scorrono impetuose; a te sacrificai sotto funesti presagi la mia verginità e la casta cintura fu sciolta dalla tua mano infida. Tisifone presiedette alle nozze e fece risuonare il suo ululato in quel talamo, e un uccello solitario intonò un lugubre canto; era presente Alletto, con il collo cinto di piccoli serpenti, e una torcia funebre spandeva la sua luce. In pena mi aggiro tra gli scogli e gli arbusti della marina e, sia che la terra si schiuda al calore del giorno, sia che brillino le gelide stelle, spingo innanzi il mio sguardo, là dove si apre alla mia vista l'ampia distesa del mare, per veder quale vento muova le onde. E ogni vela che vedo avvicinarsi da lontano, subito mi auguro che siano i miei dei. Vado di corsa verso il mare, trattenuta a stento dalle onde, là dove il mare frangendosi protende le sue acque, e quanto più le vele si avvicinano, tanto meno sono padrona di me, mi sento mancare e cado fra le braccia delle mie ancelle, pronte a sorreggermi. C'è un'insenatura che si incurva leggermente come un arco teso, alle sue estreme propaggini si ergono rocce scoscese. Ho avuto il pensiero di gettarmi nelle acque sottostanti, e, poiché continui ad ingannarmi, così sarà. Le onde sospingano il mio cadavere ai tuoi lidi e il mio corpo si presenti insepolto al tuo sguardo! Anche se superi in durezza il ferro, l'acciaio e te stesso, dirai: "Non in questo modo, Fillide, dovevi seguirmi!". Spesso ho sete di veleni, spesso vorrei finire la mia vita con una morte sanguinosa, trapassata da una spada; vorrei anche stringermi un laccio attorno al collo, perché si è offerto alla stretta delle tue braccia infide. Ho deciso di riscattare il mio pudore giovanile, con una morte opportuna. Indugerò ben poco nella scelta della morte. Tu sarai indicato sulla mia tomba come l'odioso responsabile e sarai ricordato per questo epitaffio o per uno simile: "Demofoonte causò la morte di Fillide, lui, suo ospite, fece morire lei che lo amava; egli fornì la causa della morte, lei la mano".
Io, la tua Fillide nata nella terra del Rodope, io che ti accolsi, o Demofoonte, lamento che tu stia lontano più del tempo avevi promesso. Avevi convenuto di tornare a gettare le ancore alle mie sponde quando le corna della luna si fossero riunite una prima volta a formare il disco completo. Per quattro volte la luna si è nascosta e per quattro volte ha completato nuovamente il suo disco, ma l'onda sitonia non porta con sé navi attiche. Se fai con precisione conto del tempo, che noi innamorati sappiamo calcolare bene, il mio lamento non giunge troppo presto. Anche la speranza è stata tarda a lasciarmi; non ci affrettiamo a credere alle cose che, se credute, ci procurano dolore; ma ora mi fanno male perché mio malgrado le credo, e continuo ad amarti. Spesso ho ingannato me stessa a tuo favore, spesso ho creduto che i venti tempestosi respingessero le tue bianche vele. Ho maledetto Teseo, perché non voleva lasciarti partire, ma forse non fu lui a ritardare il tuo viaggio. Talvolta ho temuto che mentre ti dirigevi verso le acque dell'Ebro, la tua nave naufragasse, sommersa dai flutti spumeggianti. Spesso con preghiere e sacrifici fumanti d'incenso ho supplicato gli dèi che tu, scellerato, fossi salvo. Spesso vedendo i venti favorevoli in cielo e sul mare mi sono detta: "Se sta bene, ritorna". Insomma il mio amore fedele ha immaginato qualunque ostacolo si può opporre a chi si affretta, e fui abile ad escogitare pretesti. Ma tu ti attardi lontano, non ti riportano indietro i giuramenti fatti sugli dèi e il nostro amore non ti sprona a tornare. Demofoonte, tu hai sciolto ai venti le vele e le tue promesse: lamento che le vele non abbiano ritorno e le parole sincerità. Dimmi, che cosa ho fatto se non amarti dissennatamente? Con la mia colpa, avrei potuto guadagnarmi la tua benevolenza? Mi si può accusare di un solo misfatto, di averti accolto, malvagio, ma questo misfatto ha assunto il peso ed il valore di un merito. Dove sono adesso i giuramenti, la fedeltà e la destra unita alla destra e quel dio più volte invocato dalla tua bocca menzognera? Dov'è ora Imeneo, promesso per gli anni di vita comune, che era per me garanzia e pegno di matrimonio? Mi hai giurato sul mare sconvolto dai venti e dalle onde, che spesso hai attraversato e che avevi l'intenzione di attraversare ancora, e su tuo nonno, se anch'egli non è frutto di invenzione, che placa le acque sconvolte dai venti, e su Venere e sulle armi anche troppo efficaci su di me, l'arma dell'arco e l'arma delle torce, e su Giunone che benigna protegge i talami nuziali e sui sacri misteri della dea che porta la fiaccola. Se di tanti che hai offeso, ciascun dio vendicasse la sua maestà oltraggiata, tu da solo non basterai per i loro castighi. E dire che io, folle, ho riparato le navi squarciate, affinché fosse solido lo scafo col quale tu potessi abbandonarmi e ti ho dato remi perché ti allontanassi, pronto a fuggire. Ahimè, soffro per le ferite inferte dalle mie stesse armi. Ho creduto alle tue parole carezzevoli, delle quali sei prodigo; ho creduto alla tua stirpe e ai tuoi avi illustri; ho creduto alle lacrime, o anche a queste si insegna a fingere? Anch'esse conoscono gli artifici e sgorgano a comando? Ho creduto anche agli dèi.
Perché tante garanzie per me? Una qualsiasi parte di esse sarebbe stata sufficiente a conquistarmi. E non rimpiango di averti aiutato concedendoti approdo e rifugio: ma questo avrebbe dovuto essere il limite massimo della mia generosità. Mi pento di aver aggiunto alla mia ospitalità il letto coniugale, coprendomi di vergogna, e di aver unito il mio fianco al tuo. Preferirei che la notte precedente a quella fosse stata l'ultima per me, quando io, Fillide, potevo morire ancora onorata. Ho sperato in meglio, perché credevo di averlo meritato: è legittima ogni speranza che deriva dal merito. Non è gloria conseguita faticosamente ingannare una fanciulla fiduciosa: la mia ingenuità avrebbe meritato riguardo. Sono stata ingannata dalle tue parole e come donna e come amante: concedano gli dèi che questo sia il tuo merito più alto! Ti si innalzi una statua nel centro della città, fra i discendenti di Egeo e ti stia dinanzi tuo padre, celebrato da iscrizioni onorifiche. E dopo aver letto di Scirone e del bieco Procuste e di Sini e dell'essere dalle fattezze di toro e insieme di uomo e di Tebe sottomessa in guerra e della sconfitta dei centauri bimembri e della violazione della cupa reggia del re delle tenebre, la tua statua, collocata dopo quelle con tante scritte sia contrassegnata da questo attestato d'onore: "Questi è colui che sedusse con l'inganno la donna che lo amava e che lo aveva ospitato". Delle tante imprese e gesta di tuo padre, solo l'abbandono della fanciulla cretese si è impresso nella tua mente; ammiri in lui quell'unico fatto, l'unico di cui dovrebbe scusarsi: tu ti comporti come erede dell'inganno di tuo padre, o traditore. Ma lei - non la invidio - gode di un marito migliore e siede in alto sul carro trainato dalle tigri aggiogate. Invece i Traci, che ho disdegnato, rifuggono dal matrimonio con me, perché si dice che ho anteposto uno straniero ai miei compatrioti. E qualcuno dice: "Se ne vada ormai alla dotta Atene; ci sarà un altro a governare la Tracia bellicosa: il risultato riconosce la validità delle azioni". Mi auguro che non abbia successo chiunque ritenga che le azioni vadano giudicate dal loro risultato. Ma se il mio mare spumeggiasse sotto i colpi dei tuoi remi, allora solo si dirà che ho provveduto bene a me e ai miei. Ma io non ho provveduto bene e tu non ti darai pensiero della mia reggia e non laverai le stanche membra nell'acqua bistonia. Mi rimane fissa negli occhi l'immagine della tua partenza, quando la flotta, pronta a salpare, era assiepata nel mio porto.
Osasti abbracciarmi e, abbandonato sul collo di chi ti amava, unire strettamente a lungo le nostre bocche nei baci e confondere le mie lacrime con le tue e rammaricarti perché la brezza era favorevole alle vele e, sul punto di partire, dirmi con le tue ultime parole: "Fillide, ti raccomando, aspetta il tuo Demofoonte!". Dovrei aspettare te, che sei partito per mai più rivedermi? Dovrei aspettare delle vele alle quali è interdetto il mio mare? E tuttavia aspetto. Torna, anche se tardi, da chi ti ama, fa' in modo che la tua promessa sia stata solo rinviata nel tempo. Ma che cosa mi auguro, sventurata? Ormai forse ti trattiene un'altra sposa e Amore che ci è stato avverso. Da quando la mia immagine ti è sfuggita dalla mente, tu non conosci più, credo, nessuna Fillide, se chiedi, ahimè, chi sia Fillide e da dove venga! Sono quella che offrì un porto in Tracia e ospitalità a te, Demofoonte, provato dal lungo errare; io che ho accresciuto i tuoi beni con i miei e che da ricca offrii molti doni a te nel bisogno, e molti te ne avrei ancora dati; sono colei che mise ai tuoi piedi l'immenso regno di Licurgo, poco adatto ad essere governato da una donna, dove il Rodope coperto di ghiacci si estende fino all'Emo ombroso e il sacro Ebro riversa nel mare le sue acque che scorrono impetuose; a te sacrificai sotto funesti presagi la mia verginità e la casta cintura fu sciolta dalla tua mano infida. Tisifone presiedette alle nozze e fece risuonare il suo ululato in quel talamo, e un uccello solitario intonò un lugubre canto; era presente Alletto, con il collo cinto di piccoli serpenti, e una torcia funebre spandeva la sua luce. In pena mi aggiro tra gli scogli e gli arbusti della marina e, sia che la terra si schiuda al calore del giorno, sia che brillino le gelide stelle, spingo innanzi il mio sguardo, là dove si apre alla mia vista l'ampia distesa del mare, per veder quale vento muova le onde. E ogni vela che vedo avvicinarsi da lontano, subito mi auguro che siano i miei dei. Vado di corsa verso il mare, trattenuta a stento dalle onde, là dove il mare frangendosi protende le sue acque, e quanto più le vele si avvicinano, tanto meno sono padrona di me, mi sento mancare e cado fra le braccia delle mie ancelle, pronte a sorreggermi. C'è un'insenatura che si incurva leggermente come un arco teso, alle sue estreme propaggini si ergono rocce scoscese. Ho avuto il pensiero di gettarmi nelle acque sottostanti, e, poiché continui ad ingannarmi, così sarà. Le onde sospingano il mio cadavere ai tuoi lidi e il mio corpo si presenti insepolto al tuo sguardo! Anche se superi in durezza il ferro, l'acciaio e te stesso, dirai: "Non in questo modo, Fillide, dovevi seguirmi!". Spesso ho sete di veleni, spesso vorrei finire la mia vita con una morte sanguinosa, trapassata da una spada; vorrei anche stringermi un laccio attorno al collo, perché si è offerto alla stretta delle tue braccia infide. Ho deciso di riscattare il mio pudore giovanile, con una morte opportuna. Indugerò ben poco nella scelta della morte. Tu sarai indicato sulla mia tomba come l'odioso responsabile e sarai ricordato per questo epitaffio o per uno simile: "Demofoonte causò la morte di Fillide, lui, suo ospite, fece morire lei che lo amava; egli fornì la causa della morte, lei la mano".
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