Se non baionetta – allora zanna, mucchio di neve, raffica di vento –
verso l’immortalità ogni ora c’è un treno!
Arrivo e so una cosa soltanto: stazione,
non vale la pena di disfare i bagagli.
Verso tutti, verso tutto – con l’indifferenza degli occhi
per i quali la fine è l’immemorabilità.
Oh, come è naturale salire in terza classe
via dall’asfissia delle stanze delle signore!
Via dalle costolette riscaldate, dalle guance
raffreddate…non si può ancora più in là,
anima? Magari nello scolatoio di un lampione –
via da questa fatale falsità:
dei bigodini, dei pannolini,
dei ferri roventi per i ricci,
dei capelli bruciacchiati,
delle cuffie, delle incerate,
delle ac-que-di-co-lo-nia,
delle familiari felicità
da cucito (Kleimwenig!…),
“E’ stata presa la caffettiera?...“
di roba ad asciugare, cuscini, matrone, bambinaie,
asfissia delle bonnes, dei bagni.
Non voglio in questo scatolone di corpi femminili
aspettare l’ora della morte!
Voglio che il treno beva e canti:
la morte è pure lei al di fuori della classe!
Via allo sbaraglio, verso lo stordimento, la fisarmonica, la fatica, l’inutilità!
“Come s’appiccicano questi anticristi?”
così che qualche randagio: “All’altro mondo…”
senza aspettare, dico: “Meglio!”
Piattaforma. – e traversine. – e l’ultimo arbusto
in mano. – lo lascio – e’ tardi
Per tenersi su. – traversine. – di quante labbra
sono stanca. – guardo le stelle.
Così, attraverso l’arcobaleno di tutti i pianeti
scomparsi – qualcuno li ha contati? –
guardo e vedo una cosa sola: la fine.
Non vale la pena di pentirsi.
(trad. di P. A. Zveteremich)
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