Omar Ortiz - Twin Angles
Ovidio - Eroidi. Saffo a Faone
Dimmi,
appena hai visto la lettera scritta da una mano colta, i tuoi occhi
l'hanno subito riconosciuta come mia? E se non avessi letto il nome
dell'autore, Saffo, non sapresti da dove ti giunge questo breve scritto?
Forse mi chiederai anche perché i miei versi sono alterni, mentre io
sono più portata al metro lirico: io devo piangere il mio amore; e
l'elegia è un genere indicato per il
pianto, mentre non c'è lira che si adatti alle mie lacrime. Brucio, come
avvampa un fertile campo con le messi in fiamme, al soffio implacabile
di Euro. Faone frequenta le lontane campagne dell'Etna di Tifeo; io sono
posseduta da un calore non inferiore a quello del fuoco dell'Etna. E
non mi nascono versi da accompagnare col sapiente tocco delle corde: la
poesia è prodotto di una mente serena. Non mi sono gradite le fanciulle
di Pirra o di Metimna, né la schiera di quelle di Lesbo. Non conta nulla
per me Anattoria, nulla Cidro splendente di bellezza, il mio sguardo
non è attratto, come prima, da Attide e dalle cento altre che amai non
senza colpa. Tu ingrato, possiedi da solo ciò che fu di molte. Tu hai la
bellezza, hai l'età adatta ai giochi d'amore: oh bellezza piena di
pericoli per i miei occhi! Prendi lira e faretra - sarai un vero Apollo;
ti si aggiungano in capo le corna -, sarai Bacco. Anche Febo amò Dafne e
Bacco la fanciulla di Cnosso, né l'una né l'altra sapevano comporre
versi lirici. A me invece le Muse dettano i versi più soavi e ormai il
mio nome risuona in tutto il mondo; nemmeno Alceo, che condivide con me
la patria ed il canto, è più lodato, sebbene i suoi versi siano più
solenni. Se a me la natura sfavorevole ha negato la bellezza, compenso
la mancanza di bellezza con il mio talento. Sono piccola. Ma ho una fama
che riempie tutta la terra: la statura la prendo dalla mia fama. Se la
mia pelle non è candida, a Perseo piacque Andromeda, figlia di Cefeo, di
carnagione scura, secondo il colore della sua patria. Le colombe
bianche del resto si uniscono a quelle di vario colore e la scura
tortora è amata dall'uccello dal verde piumaggio. Se nessuna sarà tua,
tranne colei che per bellezza potrà sembrare degna di te, nessuna allora
sarà tua! Ma quando leggevo i miei versi, ti sembravo anche bella:
giuravi che solo a me si addiceva sempre parlare. Cantavo, mi ricordo
(gli innamorati ricordano tutto); e tu mi rubavi baci mentre cantavo.
Anche questi apprezzavi e ti piacevo sotto ogni aspetto, ma soprattutto
allora, quando si fa l'amore. Allora la mia disinibizione ti piaceva più
del solito e i miei movimenti continui ed il linguaggio adatto al gioco
amoroso e, quando il piacere di entrambi si era fuso in uno solo,
l'intenso abbandono che pervadeva i nostri corpi spossati. Ora giungono a
te, come nuove prede, fanciulle siciliane: cosa ho a che fare io con
Lesbo? Voglio essere siciliana. Voi, madri Nisiadi e nuore Nisiadi,
scacciate dalla vostra terra quel vagabondo! E non vi ingannino le
menzogne della sua lingua adulatrice: quello che dice a voi lo aveva
detto prima a me. Anche tu che ti aggiri per i monti della Sicilia, dea
di Erice, vieni in aiuto (sono infatti consacrata a te!) alla tua
poetessa! O forse una cattiva sorte mantiene sino alla fine l'andamento
iniziale e rimane sempre ostile nel suo corso? Erano già trascorsi per
me sei compleanni, quando le ossa di mio padre, raccolte anzi tempo,
assorbirono tutte le mie lacrime. Mio fratello ... bruciò di passione
stregato dall'amore per una prostituta e ne soffrì i danni assieme alla
vergogna e al disonore. Divenuto povero, solca il mare ceruleo con gli
agili remi e le ricchezze che ha perso malamente, malamente ora le va
cercando. Odia anche me perché molte volte, con sincerità, l'ho
consigliato per il meglio: a questo risultato mi hanno portato la mia
schiettezza e le mie parole affettuose. E come se mi mancassero motivi
di continuo tormento, mia figlia, ancora piccola, accresce le mie
preoccupazioni. Tu vieni ad aggiungerti come ultima causa ai miei
lamenti. La mia imbarcazione non è sospinta dal vento giusto! Ecco, mi
stanno sparsi sul collo in disordine i capelli e non porto gemme
splendenti strette alle mie dita; mi copro con una veste da poco e non
c'è oro fra i capelli; la mia chioma non profuma dei doni d'Arabia. Per
chi, infelice, mi dovrei ornare, o per piacere a chi dovrei affannarmi?
Lui, l'unico che mi induce a curare il mio aspetto, è lontano: il mio
tenero cuore è facile bersaglio di agili strali, e c'è sempre un motivo
per cui io sia sempre innamorata: o lo hanno stabilito alla mia nascita
le Parche e non hanno assegnato alla mia vita fili austeri, o la mia
attività artistica influenza il mio modo di vivere e Talia, maestra
della mia arte, mi rende l'animo sensibile. Cosa c'è da stupirsi, se mi
ha sedotta l'età in cui affiora appena la barba, quegli anni che possono
suscitare l'amore dell'uomo già maturo? Temevo che tu, Aurora, me lo
portassi via al posto di Cefalo! (E l'avresti fatto, ma ti trattiene chi
hai rapito per primo). E se lo vedesse Febe, che tutto vede, Faone
sarebbe costretto a dormire per sempre. Venere lo avrebbe già
trasportato in cielo sul suo carro d'avorio, ma sa che potrebbe piacere
anche al suo Marte. Tu, non ancora uomo e non più fanciullo, l'età più
adatta, ornamento e grande gloria del tuo tempo, vieni qui vicino,
bellissimo, e lasciati andare di nuovo fra le mie braccia: non ti chiedo
di amarmi, ma di lasciarti amare! Sto scrivendo, e i miei occhi sono
bagnati dallo sgorgare delle lacrime: guarda quante cancellature ci sono
in questo punto! Se eri così deciso ad andartene di qui, te ne saresti
andato in maniera più corretta se solo mi avessi detto: "Addio,
fanciulla di Lesbo!". Con te non hai portato le mie lacrime, non i miei
baci, e io, infine, non ho potuto temere ciò che avrei sofferto. Non ho
nulla di tuo con me, se non il torto subito e nemmeno tu hai un dono che
ti ricordi la tua innamorata. Non ti ho fatto raccomandazioni. E non ti
avrei fatto alcuna raccomandazione, se non di non volerti dimenticare
di me. Per l'amore che non si allontana mai e per le nove dee, le mie
divinità, ti giuro che, quando non so chi mi disse: "La tua gioia
fugge", io non piansi a lungo, né riuscii a parlare. Le lacrime non mi
salivano agli occhi e le parole alla bocca; il mio petto era stretto da
una morsa di ghiaccio. Dopo che il mio dolore..., non ebbi ritegno a
percuotermi il petto e a gridare con i capelli scarmigliati, non
diversamente dalla madre devota che accompagna al rogo innalzato il
corpo esanime del figlio a lei rapito. Mio fratello Carasso gioisce e
ingrassa per il mio dolore; e passa e ripassa davanti ai miei occhi e,
perché appaia disdicevole il motivo del mio dolore, dice: "Perché questa
donna è addolorata? Di sicuro sua figlia non è morta!". Il pudore e
l'amore non vanno d'accordo; la gente vedeva tutto: avevo il petto nudo e
la veste strappata. Tu sei il mio pensiero assillante, Faone, e i miei
sogni ti riconducono a me, sogni più radiosi di una bella giornata. Là
io ti trovo, anche se sei in un paese lontano; ma il sonno non reca
gioie sufficientemente lunghe. Spesso mi sembra che la mia testa posi
sulle tue braccia, spesso che le mie braccia sostengano la tua.
Riconosco i baci che tu eri solito affidare alla tua lingua, baci che tu
eri sempre esperto nel dare e nel ricevere. Talvolta ti accarezzo e
pronuncio parole del tutto simili alla realtà e la mia bocca è desta per
i miei sensi. Mi vergogno a raccontare il resto, ma accade tutto e
provo piacere e non riesco a restare insensibile. Ma quando il Titano si
offre alla vista e ogni cosa con lui, allora mi lamento che il sonno mi
abbia abbandonata tanto presto; vado in cerca di boschi e caverne, come
se il bosco e le caverne potessero aiutarmi: sono stati testimoni delle
mie gioie d'amore. Sono trascinata là, fuori di senno, con i capelli
sparsi sul collo, come una donna posseduta dalla furiosa Enio. I miei
occhi vedono le grotte scavate nel tufo poroso, che per me erano simili a
marmo Migdonio; ritrovo il bosco, che spesso ci offrì un giaciglio e ci
protesse ombroso, con la sua fitta chioma, ma non trovo il signore e
del bosco e mio; quel posto è ormai diventato terreno senza valore: era
lui la ricchezza del luogo. Ho riconosciuto l'erba schiacciata delle
zolle a me note: l'erba era afflosciata per il nostro peso; mi lasciai
cadere sopra e toccai il terreno dalla parte dove stavi tu: l'erba, un
tempo a me cara, si impregnò delle mie lacrime. Persino i rami,
spogliati delle foglie, sembrano piangere e nessun uccello fa sentire il
suo dolce lamento. Solo l'uccello di Daulide, la madre colma di
tristezza che si vendicò scelleratamente del marito, canta l'ismario
Iti. L'uccello canta Iti, Saffo l'amore non più ricambiato; solo questo:
il resto tace, come a mezzanotte. C'è una sacra fonte, limpida e più
trasparente di un fiume cristallino; molti pensano che sia la sede di un
dio. La ricopre dei suoi rami un loto acquatico, che da solo è un
bosco; la terra è verde di tenere zolle. Mentre io piangente posavo qui
le mie membra spossate, si presentò ai miei occhi una Naiade; si
presentò e mi disse: "Dal momento che tu ardi di una passione non
ricambiata, Ambracia è la terra che devi raggiungere. Febo, dall'alto,
guarda il mare per quanto si estende; la gente lo chiama mare di Azio e
di Leucade. Di là si gettò Deucalione, infiammato d'amore per Pirra e
piombò nelle acque incolume. Subito l'amore si mutò e si allontanò dal
cuore tanto tenace dell'uomo che si era gettato in acqua: Deucalione.22
era stato liberato dalla sua passione. In quel luogo vige questa legge:
raggiungi subito la sommità di Leucade e non aver paura a lanciarti giù
dalla rupe". Come mi ebbe istruita, sparì col suono della sua voce. Io
mi alzai agghiacciata ed i miei occhi non trattennero le lacrime. Andrò,
o ninfa, e raggiungerò la rupe che mi hai indicato: stia lontana la
paura, vinta dalla follia dell'amore. Qualunque cosa sarà, sarà meglio
di adesso! Aria sostienimi: il mio corpo non ha un gran peso! Anche tu,
dolce Amore, reggimi con le tue ali mentre cado, perché la mia morte non
divenga l'infamia delle acque di Leucade. Poi offrirò a Febo la lira,
dono comune, e sotto la lira ci saranno due versi: "Riconoscente, io,
Saffo la poetessa, ti ho offerto la lira: essa si addice a me, essa si
addice a te". Ma perché (Faone) costringi me, infelice, ad andare alle
coste di Azio, mentre tu stesso potresti riportare indietro i tuoi passi
di fuggiasco? Tu potresti essere per me più salutare delle acque di
Leucade: tu sarai per me Apollo, sia per la tua bellezza, sia per i tuoi
meriti. O forse tu più crudele delle rupi e di ogni mare, se io
morissi, riusciresti a sopportare la responsabilità della mia morte? Ma
quanto meglio sarebbe che il mio petto si unisse al tuo, piuttosto che
affidarsi alle rocce per essere scaraventato giù! Questo è quel petto,
Faone, che tu solitamente apprezzavi e che tante volte ti è sembrato
ricco di ingegno. Ora vorrei avere il dono dell'eloquenza! Ma il dolore
impedisce l'arte e ogni ispirazione è soffocata dai miei affanni. Non
posso più contare sulle capacità poetiche di un tempo; il plettro tace
per il dolore, per il dolore silenziosa è la lira. Marine donne di
Lesbo, figlie già spose o prossime alle nozze, donne di Lesbo, nomi
cantati dalla mia lira eolia, donne di Lesbo che mi avete procurato una
cattiva fama perché vi ho amate, cessate di venire in schiera ai miei
canti! Faone - ah, me sventurata, quasi dicevo: "il mio Faone"! - mi ha
spogliata di tutto ciò che a voi prima piaceva. Fate in modo che
ritorni: tornerà anche la vostra poetessa. È lui che dà impulso al mio
ingegno, è lui che me lo toglie. Che cosa ottengo con le preghiere, e si
può forse commuovere un animo selvaggio, oppure resta impassibile e gli
zefiri portano via le mie parole destinate a svanire? Questi venti che
portano via le mie parole, vorrei che riportassero indietro le tue vele;
questa è l'azione che dovresti compiere se sapessi amare, tu, così
lento a tornare! Se hai deciso di ritornare, e prepariamo offerte votive
alla tua nave, perché strazi il mio cuore con l'indugio? Sciogli gli
ormeggi! Venere, nata dal mare, lo mantiene calmo per chi è innamorato;
il vento favorirà la rotta, tu, soltanto, sciogli gli ormeggi! Cupido in
persona reggerà il timone seduto a poppa, lui in persona scioglierà le
vele e le ammainerà con mano leggera. Ma se sei contento di essere
fuggito lontano dalla pelasgica Saffo (e tuttavia non potrai trovare il
perché io meriti di essere fuggita) una lettera crudele faccia sapere a
me sventurata almeno questo, perché io possa andare a cercare il mio
destino nelle acque di Leucade.
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