Omar Ortiz - Female Deity In Red
Ovidio - Eroidi. Ipermestra a Linceo
Ipermestra
scrive all'unico rimasto dei suoi fratelli; la schiera degli altri
giace morta, per il crimine delle loro spose. Sono confinata in casa,
stretta da pesanti catene; il motivo della mia punizione è che ho avuto
pietà. Sono colpevole, perché la mia mano ebbe orrore di affondarti una
spada in gola; sarei elogiata, se avessi avuto il coraggio di compiere il
delitto. È meglio essere colpevole che aver assecondato in quel modo
mio padre; non mi rincresce di avere le mani monde dal sangue. Mi bruci
pure mio padre, con quel fuoco che non ho profanato, mi scagli pure in
faccia quelle fiaccole, che brillavano alla cerimonia, o mi sgozzi con
quella spada che mi consegnò con scopi malvagi, così che sia uccisa io,
la sposa, con quella morte che non subì mio marito - non riuscirà però
ad ottenere che la mia bocca, in punto di morte, dica: "Mi pento". Non
lo è colei che rimpiange di essere pia! Si pentano del delitto Danao e
le mie crudeli sorelle; questo è di solito l'effetto delle azioni
scellerate. Il mio cuore è atterrito al ricordo della notte profanata
dal sangue ed un tremito improvviso mi impedisce di articolare la mano.
Quella mano che tu crederesti capace di compiere l'assassinio del
marito, ha paura di scrivere dell'assassinio che non ha compiuto. Ma
tuttavia tenterò. Era appena sceso il crepuscolo sulla terra, terminava
il giorno, aveva inizio la notte. Noi, discendenti di Inaco, siamo
condotte al palazzo del grande Pelasgo ed il suocero in persona accoglie
le nuore armate. Da ogni parte risplendono le lampade, tutte ornate
d'oro, sul fuoco, che sembra rifiutarlo, viene sparso incenso sacrilego.
La gente invoca: "Imene, Imeneo". Il dio fugge chi lo invoca; persino
la consorte di Giove si allontanò dalla sua città. Ed ecco i numerosi
fratelli, barcollanti per il vino, fra gli schiamazzi degli amici, con
le chiome umide trattenute da corone di fiori freschi, si ritirano
gioiosi nelle stanze nuziali - le stanze, loro tombe! - e coi loro corpi
si abbandonano di peso sui letti, adatti piuttosto a un funerale. Ormai
giacevano addormentati, appesantiti dal cibo e dal vino e una profonda
quiete regnava su Argo tranquilla. Mi sembrava di sentire attorno a me
gemiti di moribondi, e li udivo davvero, ed era ciò che temevo. Il
sangue si ritira, il calore abbandona il corpo e la mente e, divenuta di
ghiaccio, giacqui nel letto nuovo. Come le spighe sottili vibrano al
lieve soffio di Zefiro, come un vento freddo scuote le chiome dei
pioppi, così, o anche di più, tremai. Tu eri coricato, ed il vino, che
ti avevo dato, ti aveva stordito. Gli ordini del mio violento padre
ricacciarono la paura; mi alzo ed afferro l'arma con mano tremante. Non
dirò il falso. Per tre volte la mia mano levò la spada affilata, per tre
volte la mano ricadde, dopo aver sollevato la spada con crudele
decisione. Alla fine, vinta dalla terribile paura di mio padre, accostai
alla tua gola l'arma paterna. Ma timore e compassione si opposero al
crudele misfatto e la mia casta mano rifuggì dall'azione imposta. Mi
strappai la veste di porpora, mi strappai i capelli e, con un filo di
voce, pronunciai queste parole: "Ipermestra, hai un padre crudele;
esegui gli ordini del tuo genitore; vada costui a fare compagnia ai suoi
fratelli! Sono donna e vergine, mite per natura e per gli anni: mani
delicate non si prestano ad armi crudeli. Suvvia, finché giace nel
sonno, imita le coraggiose sorelle; è probabile che tutte abbiano ormai
ucciso i loro mariti. Ma se questa mano potesse commettere qualche
delitto, sarebbe insanguinata per la morte della sua padrona. O hanno
meritato la morte per voler possedere il regno dello zio, che tuttavia
doveva essere destinato a generi stranieri? Mettiamo pure che i nostri
mariti avessero meritato la morte; ma noi, che abbiamo fatto? Per quale
delitto commesso non mi è concesso di essere pia? Cosa ho a che fare con
la spada? A che scopo armi da guerra ad una fanciulla? La lana e la
conocchia si adattano meglio alle mie dita". Così parlai. Mentre mi
lamento, le lacrime tengono dietro alle parole e dai miei occhi cadono
giù sul tuo corpo. Mentre cerchi di abbracciarmi e agiti le braccia
addormentate, per poco la tua mano non fu ferita dalla mia spada. E
ormai temevo mio padre e i servi di mio padre e la luce del giorno.
Queste mie parole ti scacciarono il sonno: "Alzati, presto, nipote di
Belo, unico, ormai di tanti fratelli! Se non ti affretti, questa notte
sarà eterna per te!". In preda al terrore balzi su, tutto il torpore del
sonno svanisce, scorgi nella mia mano timorosa l'arma violenta. A te,
che me ne domandavi il motivo, risposi: "Finché la notte lo permette,
scappa!". Finché l'oscurità della notte lo permette, tu fuggi, io resto.
Era mattina e Danao conta i generi che giacciono uccisi. Tu solo manchi
a completare la strage. Egli mal sopporta che al massacro dei parenti
ne sia scampato uno e lamenta che sia poco il sangue versato. Vengo
strappata via dai piedi di mio padre e trascinata per i capelli - questa
è la ricompensa che ha ottenuto la mia pietà? -, mi rinchiude ora il
carcere. L'ira di Giunone perdura certo, dal momento in cui una donna
diventò giovenca e da giovenca dea. Eppure è punizione sufficiente che
una delicata fanciulla abbia emesso muggiti, e che lei, poco prima
bella, non potesse più piacere a Giove. La nuova giovenca si fermò sulle
rive del fiume suo padre e vide nelle acque paterne corna non sue e
dalla bocca che aveva tentato un lamento, emise dei muggiti e rimase
terrorizzata dal suo aspetto, terrorizzata dalla sua voce. Perché sei
sconvolta, o infelice? Perché ti specchi nell'acqua? Perché ti conti i
piedi fatti per le nuove membra? Tu, l'amante del grande Giove, motivo
di timore per sua sorella, allevii la grande fame con foglie ed erbe,
bevi alla sorgente e guardi piena di stupore la tua immagine e temi che
ti feriscano le armi che porti. Tu che poc'anzi eri ricca, da poter
sembrare degna anche di Giove, ti stendi nuda sulla nuda terra. Corri
attraverso il mare, attraverso le terre e lungo i fiumi tuoi parenti; il
mare, la terra, i fiumi ti offrono un passaggio. Che motivo hai di
fuggire? Ah, perché vai errando sul mare sconfinato? Non potrai sfuggire
al tuo stesso aspetto. Dove ti affretti, figlia di Inaco? Sei sempre tu
a inseguire e fuggire; tu sei la guida che ti accompagna, tu la
compagna che ti guida. Il Nilo che sfocia in mare per sette bocche,
liberò il volto dell'amante di Giove dalla giovenca infuriata. Perché
ricordare cose remote, che mi raccontano vecchi canuti? Ecco che i miei
anni mi danno di che lamentarmi. Mio padre e mio zio sono in guerra;
siamo scacciati dal regno e dal palazzo, siamo scaraventati e relegati
ai confini del mondo. Lui, violento, da solo si impadronisce del trono e
dello scettro; mentre noi, misero drappello, vaghiamo con un misero
vecchio. Della schiera dei fratelli sopravvive una parte piccolissima;
piango sia chi fu dato alla morte, sia chi la diede. Infatti quanti
fratelli mi sono morti, altrettante sorelle ho perduto; l'una e l'altra
schiera riceva il mio pianto. Ecco, poiché tu sei vivo, mi attendono i
tormenti della punizione. Cosa mi accadrà in caso di colpa, se vengo
accusata per un'azione lodevole? E io sventurata, centesima un tempo
della schiera dei consanguinei, morirò, mentre è salvo un solo fratello.
Ma tu, Linceo, se ti sta un po' a cuore la tua pia sorella e se sei
degno della grazia che ti ho concesso, dammi il tuo aiuto o uccidimi;
deponi di nascosto sul rogo il mio corpo senza vita e seppellisci le mie
ossa bagnate di lacrime devote; sul mio sepolcro sia scolpita questa
breve iscrizione: "Ipermestra, un tempo esule, subì ella stessa, come
ingiusta ricompensa della sua pietà, la morte che evitò al fratello".
Vorrei scrivere più a lungo; ma la mia mano è affaticata dal peso della
catena e la paura stessa mi toglie le forze.
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