Giovan Francesco Gessi - Bellerofonte e la chimera
La Chimera, Dialoghi con Leucò - Cesare PaveseVolentieri i giovani greci andavano a illustrarsi e morire in Oriente. Qui la loro virtuosa baldanza navigava in un mare di favolose atrocità cui non tutti seppero tener testa. Inutile far nomi. Del resto le Crociate furono molte più di sette. Della tristezza che consunse nei tardi anni l’uccisore di Chimera, e del nipote Sarpedonte che morì giovane sotto Troia, ci parla nientemeno che Omero nel sesto dell’Iliade.
(Parlano Ippòloco e Sarperdonte)
IPPOLOCO Eccoti, ragazzo.
SARPEDONTE Ho veduto tuo padre, Ippòloco. Non vuol saperne di tornare. Passeggia brutto e testardo le campagne, e non cura le intemperie, né si lava. È vecchio e pezzente, Ippòloco.
IPPOLOCO Di lui che dicono i villani?
SARPEDONTEil campo Aleio è desolato, zio. Non ci sono che canne e paludi. Sul Xanto dove ho chiesto di lui, non l’avevano visto da giorni.
IPPOLOCO e lui che dice?
SARPEDONTE Non ricorda né noi né le case. Quando incontra qualcuno, gli parla dei Sòlimi, e di Glauco, di Sìsifo, della Chimera. Vedendomi ha detto: “Ragazzo s’io avessi i tuoi anni, mi sarei già buttato a mare”. Ma non minaccia anima viva. “Ragazzo – mi ha detto, - tu sei giusto e pietoso, smetti di vivere”.
IPPOLOCO Davvero brontola e rimpiange a questo modo?
SARPEDONTE Dice cose minacciose e terribili. Chiama gli dèi a misurarsi con lui. Giorno e notte, cammina. Ma non ingiuria né compiange che i morti – o gli dèi.
IPPOLOCO Glauco e Sìsifo, hai detto?
SARPEDONTE Dice che furono puniti a tradimento. Perché aspettare che invecchiassero, per sorprenderli tristi caduchi? “Bellerofonte – dice – fu giusto e pietoso fin che il sangue gli corse nei muscoli. E adesso che è vecchio e che è solo, proprio adesso gli dèi l’abbandonano?”
IPPOLOCO Strana cosa, stupirsi di questo. E accusare gli dèi di ciò che tocca a tutti i vivi. Ma lui che cosa ha di comune con quei morti – lui che fu sempre giusto?
SARPEDONTE Ascolta, Ippòloco… Anch’io mi son chiesto, vedendo quell’occhio smarrito, se parlavo con l’uomo che un tempo fu Bellerofonte. A tuo padre è accaduto qualcosa. Non è vecchio soltanto. Tuo padre sconta la Chimera.
IPPOLOCO Sarpedonte, sei folle?
SARPEDONTE Tuo padre accusa l’ingiustizia degli dèi che hanno voluto che uccidesse la Chimera. “Da quel giorno – ripete – che mi sono arrossato nel sangue del mostro, non ho più avuto vita vera. Ho cercato nemici, domato le Amazzoni, fatto strage dei Sòlimi, ho regnato sui Lìci e piantato un giardino – ma cos’è tutto questo? Dov’è un’altra Chimera? Dov’è la forza delle braccia che l’uccisero? Anche Sìsifo e Glauco mio padre furon giovani e giusti – poi entrambi invecchiando, gli dèi li tradirono, li lasciarono imbestiarsi e morire. Chi una volta affrontò la Chimera, come può rassegnarsi amorire?” Questo dice tuo padre, che fu un giorno Bellerofonte.
IPPOLOCO Da Sisifo, che incatenò il fanciullo Tànatos, a Glauco che nutriva i cavalli con uomini vivi, la nostra stirpe ne ha violati di confini. Ma questi son uomini antichi e di un tempo mostruoso. La Chimera fu l’ultimo mostro che videro. La nostra terra ora è giusta e pietosa.
SARPEDONTE Tu credi, Ippoloco? Credi che basti averla uccisa? Nostro padre – lo posso chiamare così – dovrebbe saperlo. Eppure è triste come un dio – come un dio derelitto e canuto, e attraversa campagne e paludi parlando a quei morti.
IPPOLOCO Ma che cosa gli manca, che cosa?
SARPEDONTE Gli manca il braccio che l’ha uccisa. Gli manca l’orgoglio di Glauco e di Sisifo, proprio adesso che come i suoi padri è giunto al limite, alla fine. La loro audacia lo travaglia. Sa che mai più un’altra Chimera lo aspetterà in mezzo alle rupi. E chiama alla sfida gli dèi.
IPPOLOCO Sono suo figlio, Sarpedonte, ma non capisco queste cose. Sulla terra ormai fatta pietosa si dovrebbe invecchiare tranquilli. In un giovane, quasi un ragazzo, come te Sarpedonte, capisco il tumulto del sangue. Ma solo in un giovane. Ma per cause onorate. E non mettersi contro gli dèi.
SARPEDONTE Ma lui sa cos’è un giovane e un vecchio. Ha veduto altri giorni. Ha veduto gli dèi, come noi ci vediamo. Narra cose terribili.
IPPOLOCO Hai potuto ascoltarlo?
SARPEDONTE O Ippoloco, e chi non vorrebbe ascoltarlo Bellerofonte ha visto cose che non accadono sovente.
IPPOLOCO Lo so, Sarpedonte, lo so, ma quel mondo è passato. Quand’ero bambino, le narrava anche a me.
SARPEDONTE Solamente che allora non parlava coi morti. A quel tempo eran favole. Oggi invece i destini che tocca diventano il suo.
IPPOLOCO E cosa racconta?
SARPEDONTE Sono fatti che sai. Ma non sai la freddezza, lo sguardo smarrito, come di chi non è più nulla e sa ogni cosa. Sono storie di Lidia e di Frigia, storie vecchie, senza giustizia, né pietà. Conosci quella del Sileno che un dio provocò alla sconfitta sul monte Celene, e poi uccise macellandolo, come ilbeccaio ammazza un capro? Dalla grotta ora sgorga un torrente come fosse il suo sangue. La storia della madre impietrata, fatta rupe che piange, perché piacque a una dea di ucciderle i figli uno a uno a frecciate? E la storia di Aracne, che per l’odio di Atena inorridì e divenne ragno? Sono cose che accaddero. Gli dèi le hanno fatte.
IPPOLOCO E sta bene. Che importa? Non serve pensarci. Di quei destini non rimane nulla.
SARPEDONTE Rimane il torrente, la rupe, l’orrore. Rimangono i sogni. Bellerofonte non può fare un passo senza urtare un cadavere, un odio, una pozza di sangue, dei tempi che tutto accadeva e non erano sogni. Il suo braccio a quel tempo nel mondo e uccideva.
IPPOLOCO Anche lui fu crudele, dunque.
SARPEDONTE Era giusto e pietoso. Uccideva Chimere. E adesso che è vecchio e che è stanco, gli dèi l’abbandonano.
IPPOLOCO Per questo corre le campagne?
SARPEDONTE È figliolo di Glauco e di Sisifo. Teme il capriccio e la ferocia degli dèi. Si sente imbestiare e non vuole morire. “Ragazzo, - mi dice, - quest’è la beffa e il tradimento: prima ti tolgono ogni forza e poi si sdegnano se tu sarai meno che uomo. Se vuoi vivere, smetti di vivere…”
IPPOLOCO E perché non si uccide, lui che sa queste cose?
SARPEDONTE Nessuno si uccide. La morte è destino. Non si può che augurarsela, Ippoloco.
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