The three graces- Jean-Baptiste Regnault
da "Le Grazie" di Ugo Foscolo. Inno secondo - Vesta
II
(...)
Inaccessa agli Dei splende una fiamma
solitaria nell’ultimo de’ cieli,
per proprio foco eterna; unico Nume
la veneranda Deità di Vesta
vi s’appressa, e deriva indi una pura
luce che, mista allo splendor del sole,
tinge gli aerei campi di zaffiro,
e i mari, allor che ondeggiano al tranquillo
spirto del vento facili a’ nocchieri,
e di chiaror dolcissimo consola
con quel lume le notti, e a qual più s’apre
modesto fiore a decorar la terra
molli tinte comparte, invidïate
dalla rosa superba.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dite, o garzoni, a chi mortale, e voi,
donzelle, dite a qual fanciulla un giorno
più di quel mèl le Dee furon cortesi.
N’ebbe primiero un cieco; e sullo scudo
di Vulcano mirò moversi il mondo,
e l’alto Ilio dirùto, e per l’ignoto
pelago la solinga itaca vela,
e tutto Olimpo gli s’aprì alla mente
e Cipria vide e delle Grazie il cinto.
Ma quando quel sapor venne a Corinna
sul labbro, vinse tra l’elèe quadrighe
di Pindaro i destrier, benché Elicona
li dissetasse, e li pascea di foco
Eolo, e prenunzia un’aquila correva,
e de’ suoi freni li adornava il Sole.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Di quel mèl la fragranza errò improvvisa
sul talamo all’eolïa fanciulla,
e il cor dal petto le balzò e la lira
ed aggiogando i passeri, scendea
Venere dall’Olimpo, e delle sue
ambrosie dita le tergeva il pianto.
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Inaccessa agli Dei splende una fiamma
solitaria nell’ultimo de’ cieli,
per proprio foco eterna; unico Nume
la veneranda Deità di Vesta
vi s’appressa, e deriva indi una pura
luce che, mista allo splendor del sole,
tinge gli aerei campi di zaffiro,
e i mari, allor che ondeggiano al tranquillo
spirto del vento facili a’ nocchieri,
e di chiaror dolcissimo consola
con quel lume le notti, e a qual più s’apre
modesto fiore a decorar la terra
molli tinte comparte, invidïate
dalla rosa superba.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dite, o garzoni, a chi mortale, e voi,
donzelle, dite a qual fanciulla un giorno
più di quel mèl le Dee furon cortesi.
N’ebbe primiero un cieco; e sullo scudo
di Vulcano mirò moversi il mondo,
e l’alto Ilio dirùto, e per l’ignoto
pelago la solinga itaca vela,
e tutto Olimpo gli s’aprì alla mente
e Cipria vide e delle Grazie il cinto.
Ma quando quel sapor venne a Corinna
sul labbro, vinse tra l’elèe quadrighe
di Pindaro i destrier, benché Elicona
li dissetasse, e li pascea di foco
Eolo, e prenunzia un’aquila correva,
e de’ suoi freni li adornava il Sole.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Di quel mèl la fragranza errò improvvisa
sul talamo all’eolïa fanciulla,
e il cor dal petto le balzò e la lira
ed aggiogando i passeri, scendea
Venere dall’Olimpo, e delle sue
ambrosie dita le tergeva il pianto.
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