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2 novembre 2017

da Inno ad Artemide – Callimaco

Pauwels Franck - Diana e le Ninfe spiate da Atteone
da Inno ad Artemide – Callimaco

(…)
Quando le ninfe in coro ti circondano
presso le fonti dell'egizio Inopo
o a Pitane (Pitane pure è tua)
o a Limne o dove, dea, per dimorarvi
venisti dalla Scizia, Ale Arafenide,
e le usanze dei Tauri rifiutasti,
non arino in quel tempo le mie vacche,
date in affitto, un campo che misura
quattro piene giornate di fatica,
sotto un altrui aratore: al letamaio
farebbero ritorno zoppicanti
col collo affaticato, anche se fossero
bestie di nove anni, di Stinfèa,
dalle corna capaci di trainare,
superiori ad ogni altra per aprire
profondi solchi. Infatti, quel bel coro
non supera il dio Elios, ma lo ammira,
fermando il carro, e il giorno si fa lungo.
Che isola, che monte, quale porto
ti fu più caro, che città, che ninfa
amavi più delle altre? E che eroine
avesti accanto? Dillo a noi, tu, dea,
ed io lo canterò per l'altra gente.
Ti fu gradita Dòliche fra le isole,
Perge fra le città, caro fra i monti
ti fu il Taigeto e i porti dell'Euripo.
La ninfa di Gortina, Britomarti
amavi più delle altre, cacciatrice
di buona mira, per la quale un tempo
Minosse, follemente innamorato,
per i monti di Creta scese in corsa.
Ora andava a nascondersi la ninfa
sotto le querce ricche di fogliame,
ora nei prati. Andò per nove mesi
egli girando tra costoni e rupi
e non sospese mai l'inseguimento,
finché, quasi raggiunta, ella nel mare
balzò da un alto scoglio e nelle reti
dei pescatori andò a cadere in salvo.
I Cidonii da allora danno il nome
di Dittinna alla ninfa e di Dittèo
al monte da cui giù balzò la ninfa.
Posero altari e fanno sacrifici
e corone di pino e di lentisco
in quel giorno vi sono e non si tocca
il mirto con le mani; allora infatti
un rametto di mirto nella fuga
s'impigliò tra le vesti alla fanciulla,
e perciò molto si adirò col mirto.
Upi signora di splendente aspetto,
portatrice di luce, danno il nome
da quella ninfa pure a te i Cretesi.
E Cirene prendesti per compagna
e due cani da caccia le donasti
con cui la figlia di Ipseo nella gara
alla tomba di Iolco vinse il premio.
E di Cefalo, figlio di Deione,
la bionda sposa per compagna accanto
volesti a caccia e amasti, a quanto dicono,
l'attraente Anticlea, come la luce
degli occhi tuoi. Per prime esse portarono
veloci frecce e in spalla la faretra,
piena di dardi e avevano scoperta
la spalla destra e sempre nudo il seno.
Anche Atalanta dai veloci piedi,
figlia di Iasio, della stirpe d'Arcade
che sterminò il cinghiale, avesti cara
e le insegnasti l'arte della caccia
con la muta dei cani e il tirar d'arco.
E coloro che furono invitati
a caccia del cinghiale calidonio
non hanno alcuna critica da farle:
portò in Arcadia insegne vittoriose
ed ha tuttora i denti della fiera.
Non credo che nell'Ade, pure odiandola,
parlino male dell'arciera Ilèo,
né il dissennato Reco. Non potrebbero
sostenere con loro la menzogna
i loro fianchi, da cui in vetta al Mènalo
scorreva sangue. Dea dai molti templi,
dalle molte città, Chitonèa, salve,
te che Mileto ben conosce e Nèleo
fece sua guida, quando con le navi
tornava da Cecropia. Dea del Chesio,
dea dell'Imbraso, tu che hai il primo trono,
nel tempio tuo il timone della nave
Agamennone offrì per propiziarsi
un buon viaggio per mare, poiché i venti
tu trattenesti, quando navigarono,
irate a causa d'Elena Ramnuside,
le navi achee, portando la rovina
alla città dei Teucri. E per te eresse
due templi Preto, l'uno come Coria,
poiché riconducesti le sue figlie
che erravano sui monti dell'Azenide,
e l'altro in Lusi come Domatrice,
poiché dalle fanciulle eliminasti
la tendenza ferma. A te innalzarono
le Amazzoni, fautrici della guerra,
sulla marina d'Efeso una statua
sotto un tronco, una quercia, e Ippò per te
celebrò il rito, ed esse, Upi signora,
tutt'intorno danzarono la prulis,
prima armate al completo con gli scudi,
poi in giro, disponendosi in un cerchio
di vaste proporzioni, e le siringhe
facevano da sfondo, melodiose
lievemente, perché, secondo il ritmo,
battessero la terra (non ancora
dannosa al cervo, l'opera di Atena
forato aveva l'osso di cerbiatto).
Da Sardi l'eco corse al territorio
dei Berecinzi. Senza interruzione
facevano gran strepito coi piedi
e mandavano suono le faretre.
Intorno a quella statua fu poi eretto
un vasto santuario, di cui nulla
più divino e fastoso vedrà Eos:
senza fatica vincerebbe Pito
Si vantò di distruggerlo da folle
il prepotente Ligdami e condusse
un esercito fitto come sabbia
di Cimmerî che mungono cavalle
ed hanno la dimora sullo stretto
della giovenca Inachia. Ah, vile re,
che gran peccato! Non doveva mai
tornarsene di nuovo nella Scizia
e come lui chiunque aveva i carri
nei prati del Caìstro. Avanti ad Efeso
c'è sempre la barriera dei tuoi dardi.
O dea Munichia, che proteggi i porti,
salve Ferèa. Nessuno oltraggi Artemide
(non per Enèo, che trascurò l'altare
vennero belle prove alla città)
né si competa nella caccia al cervo
o nel tirare d'arco (non fu il vanto
pagato dall'Atride a basso prezzo)
né si aspiri alla vergine (non 0to
né Orione fauste nozze ricercarono)
né la danza annuale si respinga
(non senza pianto di danzare in cerchio
Ippò si rifiutò presso l'altare).
Salve, sovrana, molte volte salve,
a te giunga gradito questo canto.

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