Jean Antoine Watteau, Cérès
da Inno a
Demetra – Callimaco
(…)
Non si curò
degli altri, che per forza
ubbidivano
al cenno d'un padrone,
e al
protervo signore si rivolse:
Sì, sì,
fatti la casa, cane, cane,
in cui darai
i banchetti. Nel futuro
avrai
banchetti senza interruzione.
Queste
parole disse, suscitando
le pene di
Erisíttone. All'istante
una fame
terribile e selvaggia
gli mise
addosso, ardente e vigorosa.
Ed egli, in
preda a grave malattia,
cominciò a
consumarsi. Sventurato,
più
mangiava, più fame aveva ancora.
Preparavano
in venti da mangiare
e il vino
era da dodici versato.
Dioniso si
unì all'ira di Demetra:
ciò che
Dioniso anche Demetra offende.
I genitori,
presi da vergogna,
per non
mandarlo né alle cene a quota
né ai
conviti, trovavano pretesti
d'ogni
specie. Gli Ormenidi alle gare
di Atena
Itonia vennero a invitarlo.
Li respinse
la madre: Non è in casa,
ieri appunto
è partito per Crannone
per
riscuotere i cento buoi d'un credito.
Polissò
venne, madre di Attorione,
che
preparava al giovane le nozze
ad invitare
entrambi, Triopa e il figlio,
e la donna
rispose a malincuore
tra le
lagrime: Triopa verrà certo,
ma
Erisíttone, colto da un cinghiale,
sul monte
Pindo dalle belle valli,
da nove
giorni è a letto. Cosa mai
non
inventasti per amor del figlio,
povera
madre? Offriva uno un banchetto:
Erisíttone è
fuori di città.
Uno la sposa
conduceva a nozze:
Fu colpito
Erisíttone da un disco,
o Dal
carro è caduto, o Sta a contare
sopra
l'Otris i greggi. E tutto il
giorno
quello a
mensa, nel fondo della casa,
mangiava
all'infinito. E più mangiava
più il
ventre gli balzava orribilmente.
Si versavano
tutte le vivande
inutilmente,
senza alcun piacere,
come nella
voragine del mare
ed egli,
come neve sul Mimante,
come al sole
una bambola di cera,
e di più, si
struggeva. Sventurato,
finché fu
pelle e ossa sopra i nervi.
(…)
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