opera di Fernando Botero
da
Cent’anni di solitudine – Gabriel Garcia Marquez
(…)
Secondo
fu il mangiatore invitto, fino al sabato disgraziato in cui comparve Carnila
Sagastume, una femmina totemica nota nell’intero paese col nome di La
Elefantessa. Il duello si prolungò fino allo spuntare del giorno del martedi.
Nelle prime ventiquattro ore, dopo aver liquidato un vitello con contorno di
tuberi e banane cotte, e inoltre una cassa e mezzo di champagne, Aureliano
Secondo era sicuro di vincere. Si considerava più entusiasta, più vitale
della imperturbabile avversaria, che sfoggiava uno stile evidentemente
più professionale, ma anche meno emozionante per l’eterogeneo pubblico
che traboccò nella casa. Mentre Aureliano Secondo mangiava a quattro
palmenti, smanioso di vincere, l’Elefantessa sezionava la carne con l’arte
di un chirurgo, e la mangiava senza fretta e perfino con un certo
piacere. Era gigantesca e massiccia, ma contro la corpulenza colossale
prevaleva la dolcezza della femminilità, e aveva un viso cos ì grazioso,
delle mani così fini e ben curate e un fascino personale cos ì irresistibile,
che quando Aureliano Secondo la vide entrare in casa commentò a bassa
voce che avrebbe preferito non fare il torneo a tavola bensí a letto. Più
tardi, quando la vide consumare la culatta del vitello, senza violare una sola
regola della migliore urbanità, commentò seriamente che quella delicata,
affascinante e insaziabile proboscidata era in un certo modo la donna ideale.
Non si sbagliava. La fama di rompiossa che aveva preceduto l’Elefantessa
mancava di fondamento. Non era trituratrice di buoi, né donna barbuta di un
circo greco, come si diceva, ma direttrice di un’accademia di canto. Aveva
imparato a mangiare quando era già una rispettabile madre di famiglia, cercando
un metodo per far sì che i suoi figli si alimentassero meglio e non mediante
stimoli artificiali dell’appetito bensí mediante l’assoluta tranquillità dello
spirito. La sua teoria, dimostrata nella pratica, si basava sul principio che
una persona che avesse perfettamente sistemato tutte le pendenze della sua
coscienza, poteva mangiare senza sosta finché non fosse stata vinta dalla
stanchezza. Di modo che fu per ragioni morali, e non per interesse sportivo,
che tralasciò le cure dell’accademia e del focolare domestico per competere con
un uomo la cui fama di grande mangiatore senza principi aveva fatto il giro del
paese. Fin dalla prima volta in cui lo vide, si rese conto che Aureliano
Secondo sarebbe stato vinto non dallo stomaco ma dal carattere. Alla fine della
prima notte, mentre l’ Elefantessa continuava impavida, Aureliano Secondo si
stava esaurendo dal gran parlare e ridere. Dormirono quattro ore. Quando si
svegliarono, ognuno di loro bevve il succo di cinquanta arance, otto litri di
caffè e trenta uova crude. All’inizio del secondo giorno, dopo molte ore
insonni e dopo aver liquidato due maiali, un casco di banane e quattro casse di
champagne, l’Elefantessa sospettò che Aureliano Secondo, senza saperlo, doveva
aver scoperto il metodo da lei creato, ma per la strada assurda della
irresponsabilità totale. Era, quindi, più pericoloso di quanto lei aveva
pensato. Tuttavia, quando Petra Cotes portò in tavola due tacchini arrosto,
Aureliano Secondo era a un passo dalla congestione.”Se non può, non mangi più,”
disse l’Elefantessa. “Restiamo pari.”Lo disse col cuore, comprendendo che il
rimorso di star propiziando la morte dell’avversario le avrebbe impedito di
mangiare anche un solo boccone in più. Ma Aureliano Secondo lo interpretò come
una nuova sfida, e si rimpinzò di tacchino al di là della sua incredibile
capacità. Perse conoscenza. Cadde bocconi nel piatto degli ossi, vomitando
schiumate di cane dalla bocca, e soffocando in rantoli di agonia. Sentì, in
mezzo alle tenebre, che lo gettavano dal più alto di una torre verso un
precipizio senza fondo, e in un ultimo sprazzo di lucidità si rese conto che
alla fine diquella interminabile caduta lo stava aspettando la morte.
(…)
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