12 dicembre 2017

da Cent’anni di solitudine – Gabriel Garcia Marquez

opera di Fernando Botero

da Cent’anni di solitudine – Gabriel Garcia Marquez

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Secondo fu il mangiatore invitto, fino al sabato disgraziato in cui comparve Carnila Sagastume, una femmina totemica nota nell’intero paese col nome di La Elefantessa. Il duello si prolungò fino allo spuntare del giorno del martedi. Nelle prime ventiquattro ore, dopo aver liquidato un vitello con contorno di tuberi e banane cotte, e inoltre una cassa e mezzo di champagne, Aureliano Secondo era sicuro di vincere. Si considerava più entusiasta, più vitale  della imperturbabile avversaria, che sfoggiava uno stile evidentemente più  professionale, ma anche meno emozionante per l’eterogeneo pubblico che  traboccò nella casa. Mentre Aureliano Secondo mangiava a quattro palmenti, smanioso di vincere, l’Elefantessa sezionava la carne con l’arte di  un chirurgo, e la mangiava senza fretta e perfino con un certo piacere. Era gigantesca e massiccia, ma contro la corpulenza colossale prevaleva la  dolcezza della femminilità, e aveva un viso cos ì grazioso, delle mani così fini e ben curate e un fascino personale cos ì irresistibile, che quando Aureliano Secondo la vide entrare in casa commentò a bassa  voce che avrebbe preferito non fare il torneo a tavola bensí a letto. Più tardi, quando la vide consumare la culatta del vitello, senza violare una sola regola della migliore urbanità, commentò seriamente che quella delicata, affascinante e insaziabile proboscidata era in un certo modo la donna ideale. Non si sbagliava. La fama di rompiossa che aveva preceduto l’Elefantessa mancava di fondamento. Non era trituratrice di buoi, né donna barbuta di un circo greco, come si diceva, ma direttrice di un’accademia di canto. Aveva imparato a mangiare quando era già una rispettabile madre di famiglia, cercando un metodo per far sì che i suoi figli si alimentassero meglio e non mediante stimoli artificiali dell’appetito bensí mediante l’assoluta tranquillità dello spirito. La sua teoria, dimostrata nella pratica, si basava sul principio che una persona che avesse perfettamente sistemato tutte le pendenze della sua coscienza, poteva mangiare senza sosta finché non fosse stata vinta dalla stanchezza. Di modo che fu per ragioni morali, e non per interesse sportivo, che tralasciò le cure dell’accademia e del focolare domestico per competere con un uomo la cui fama di grande mangiatore senza principi aveva fatto il giro del paese. Fin dalla prima volta in cui lo vide, si rese conto che Aureliano Secondo sarebbe stato vinto non dallo stomaco ma dal carattere. Alla fine della prima notte, mentre l’ Elefantessa continuava impavida, Aureliano Secondo si stava esaurendo dal gran parlare e ridere. Dormirono quattro ore. Quando si svegliarono, ognuno di loro bevve il succo di cinquanta arance, otto litri di caffè e trenta uova crude. All’inizio del secondo giorno, dopo molte ore insonni e dopo aver liquidato due maiali, un casco di banane e quattro casse di champagne, l’Elefantessa sospettò che Aureliano Secondo, senza saperlo, doveva aver scoperto il metodo da lei creato, ma per la strada assurda della irresponsabilità totale. Era, quindi, più pericoloso di quanto lei aveva pensato. Tuttavia, quando Petra Cotes portò in tavola due tacchini arrosto, Aureliano Secondo era a un passo dalla congestione.”Se non può, non mangi più,” disse l’Elefantessa. “Restiamo pari.”Lo disse col cuore, comprendendo che il rimorso di star propiziando la morte dell’avversario le avrebbe impedito di mangiare anche un solo boccone in più. Ma Aureliano Secondo lo interpretò come una nuova sfida, e si rimpinzò di tacchino al di là della sua incredibile capacità. Perse conoscenza. Cadde bocconi nel piatto degli ossi, vomitando schiumate di cane dalla bocca, e soffocando in rantoli di agonia. Sentì, in mezzo alle tenebre, che lo gettavano dal più alto di una torre verso un precipizio senza fondo, e in un ultimo sprazzo di lucidità si rese conto che alla fine diquella interminabile caduta lo stava aspettando la morte.
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