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24 maggio 2018

da “La signora del miele” - Fanny Buitrago

da “La signora del miele” - Fanny Buitrago

Fu come una deliziosa voglia di donna incinta. Tutt’a un tratto Teodora Vancejos desiderò tornare al suo paese, alla sua gente, alle braccia focose del marito. E nella sua memoria cominciarono a insinuarsi aromi di lenzuola inamidate, di corpi allacciati, di acqua fiorita. Di nespole mature e prugne di Castiglia. I semplici, consueti aromi della sua vita. Voleva partire subito. Magari a fine mese. Senza che gli accordi presi con il suo capo, il dottor Manuel Amiel, potessero intralciarla. Voleva sorprendere piacevolmente don Galaor Ucròs, suo marito; Demetria ed Esmaracola, le sue figlie. Aveva urgenza di tornare così, all’improvviso, senza perdere tempo e denaro in telegrammi o in conversazioni telefoniche.
“Non è necessario che i miei vengano a prendermi all’aeroporto. Non sono né zoppa né monca. Posso pure prendere un taxi,” disse, mentre le sue dita lunghe e ben modellate impastavano farina profumata di vaniglia e buccia di limone grattugiata.
“Grave errore.” Il dottor Amiel scosse il capo guardandola ironico. Nei suoi occhi fulvi danzavano scintille maliziose. “E’ un’idea estremamente svantaggiosa, mia Teodora.”
“Una vera sorpresa.” Lei modellava le natiche grassottelle di un amorino a grandezza naturale, senza far caso alle parole di Amiel. “Sarà un carnevale in ottobre, perché la festa durerà fino all’alba. Felice ritorno! Immagino già i miei vicini che vanno e vengono. Don Galaor, mio marito, con il suo più bel sorriso. Esmaracola e Demetria vestite come principesse. E balli, musiche e canzoni.”
“Non credo.”
Amiel, in fondo al bancone, preparava il piatto forte di una cena speciale. Gli ingredienti, sapientemente distribuiti, componevano una ninfa voluttuosa e sfrontata i cui seni erano due orci ripieni di gamberi e ostriche al vino che, senza dubbio, sarebbero stati divorati con le telline del sesso e delle ascelle, e le patate all’aglio che formavano il corpo desiderabile e i medaglioni di vitello e caviale che avrebbero aureolato il magnifico volto. Gli invitati all’addio al celibato di un editore di letteratura femminista avrebbero mangiato tutto fino all’ultima briciola.
“Perché ‘non crede’?” protestò lei. “A me piace ascoltare le mie intuizioni. E mi è venuto così, un delizioso capriccio.”
Il dottor Manuel Amiel, capo gentile e benevolo, si leccò i baffi con un gesto di indubbia preoccupazione. Gesto che Teodora aveva captato anni addietro, al confine fra Berlino Ovest e Berlino Est, quando la polizia lo aveva trovato in possesso di un carico di mutande e preservativi profumati e commestibili, ad alto contenuto proteico… Si salvarono per caso! Il capo del posto di frontiera voleva conquistare una tenente schiva che odiava la biancheria intima della zona orientale e, casualmente, soffriva di un principio di anemaia.
L’attività commerciale del dottor Amiele non si limitava ai cibi stimolanti. Come tutti i geni imprenditoriali scopriva continuamente nuovi filoni nella sua professione.
“Quello che è in ordine, è in ordine,” disse lui. “ I meccanismi della routine non vanno alterati. I mariti che arrivano un giorno prima della data stabilita scoprono la moglie a letto con il fruttivendolo o lo smilzo barista. Invece, se si segue un ordine…”
Lei non gli permise di continuare. Spinse in fuori il petto guardandolo negli occhi.
“Ho fiducia in mio marito don Galaor Ucròs. E’ un uomo diverso e sincero. Mi ha promesso di cambiare e così ha fatto. Non ho motivo di lagnarmi di lui.”
Amiel, che nella sua prima giovinezza era andato a Parigi a studiare legge ed economia – per dirigere l’azienda di famiglia – e lì aveva ceduto alle grazie di una bella sguattera finendo per fare anch’egli il cuoco, osservò tristemente Teodora. Era un caso disperato… stupida come solo lei sapeva essere. Anche lui si approfittava della sua innocenza e limpidezza.
(…)
Traduzione di Antonella Donazzan

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