Henri de Toulouse-Lautrec - Au Salon de la rue des Moulins
da “La pensione Eva” -
Andrea Camilleri
(…)
“Mallitto ‘u momento
che m’è vinuto in testa di fare ‘sta dimanna!” pinsò Nenè, visto che tutte le picciotte
avevano la faccia vagnata di lacrime. La Signura, che pareva commossa puro lei,
si susì.
«Bonanotti a tutti. E
m’arraccomanno.»
Macari stavolta la
nisciuta della Signura, che si era chiusa la porta alle spalle, allentò la
disciplina. E la malinconia che le parole di Emanuela avevano fatto nascere ci
mise picca a scumpariri. La gioventù di tutti aveva avuto la megliu.
«Facemo come l’altra
volta, astutiamo la luce e rapriamo la finestra» propose Jacolino. Ciccio
raprì. C’era luna piena. Tunna tunna, vascia, pareva proprio all’altizza della
finestra.
“Che luna leopardiana!”
pensò Nenè, fresco di studio. Il profilo delle navi, nel gioco di nìvuro, ùmmira
e luci, risaltava che pareva disegnato, inciso. Dintra alla càmmara il lume di
luna era bastevole per vedersi in faccia, ma faceva parlare a tutti a voce vascia,
come in segreto, va’ a sapiri pirchì.
«Vuoi che ti faccia
vedere?» spiò Grazia all’oricchia di Nenè.
«Sì» rispunnì Nenè
senza manco sapere che cosa voleva fargli vedere la picciotta.
Grazia lo pigliò per
la mano e lo tirò tanticchia narrè rispetto agli altri che taliavano fora della
finestra e sgherzavano. E accussì, quando niscero dalla càmmara nisciuno se ne
accorse.
Sul pianerottolo Nenè
intuì, nello scuro fitto, che Grazia aviva principiato a scendere la scala.
«Accendi la luce, non
ci vedo.»
«No» fece Grazia, «non
voglio che gli altri ci vengano dietro. Appoggiati alle mie spalle.»
Scinnì come un cieco.
Ma era felice: aveva capito che Grazia gli voleva mostrare la Pensione. Quanto
l’aviva addisiderato! Quante volte si era spiato com’era fatta dintra! Si ricordò
macari di quando, picciliddro, aveva ‘nfilato la testa dintra al portone e un
omo l’aveva rimproverato. Grazia girò la chiave della porta del primo piano e
la raprì.
«Passa.»
Nenè trasì, Grazia
darre di lui richiuse e addrumò la luce.
Erano al principio di
un corridoio nel quale s’affacciavano nove porte, cinco a mano manca e quattro
a mano dritta. Sulo che a mano dritta c’era macari una scala, piuttosto larga,
che portava d’abbascio.
«Qui è dove
lavoriamo» disse Grazia.
Fece dù passi e raprì
una porta.
«E questa è la stanza
dove lavoro io.»
Una cella. Anzi, tale
e quale a una cammareddra di spitale, pulitissima, ma nica nica, a momenti
dintra non ci si poteva cataminare. E c’era fetu di disinfittante, proprio come
in una càmmara di spitale. Ci trasivano sulo il letto a una piazza e mezza, un
comodino, una seggia. A una parete c’era il lavamano e il bidè. E basta.
Grazia chiuì, avanzò
ancora nel corridoio, raprì ancora una porta:
«Questo è il bagno.»
Ne raprì n’altra.
«Questo è lo stanzino
della cameriera che non dorme qua.»
Un letto non ci
sarebbe manco trasuto, c’era una pultruna sfondata. La cammareddra era una
specie di ripostiglio stipato di linzola, fodere di cuscino, asciucamani, pezze
per puliziare, scope, saponette.
«Ora andiamo giù.»
Scinnero la scala.
E Nenè s’attrovò in
un salone grandissimo contornato giro giro da tanti divani di colori diversi ma
della stessa forma, ‘mpiccicati l’uno all’altro, tanto da parere uno sulo.
«Su questi divani
seggono i clienti. Noi scendiamo da su, ci mettiamo al centro e ci mostriamo
fino a quando qualcuno non ci sceglie. Allora risaliamo con chi ci ha scelto,
andiamo in camera e quando quello ha finito ognuna di noi ridiscende col
cliente e consegna la marchetta alla Signora. Il cliente paga e se ne va. Il posto
della Signora è quello.»
Allato alla porta che
dava nell’anticàmmara, c’era una pedana. Supra la pedana, un tavolino e un
registratore di cassa che pareva un monumento. Darrè al tavolino, una pultruna
enorme, il posto della Signura, di oro e damasco rosso, degna d’una regina.
E darre alla
pultruna, sulla parete, c’era un cartello. Era il tariffario.
SEMPLICE, LIRE 3,50
QUARTO D’ORA, LIRE 7
MEZZ’ORA, LIRE 13
MILITARI ITALIANI E
TEDESCHI, MILITI, CAMICIE NERE E MILITARIZZATI, RID. 25%
OLTRE, PREZZI A
CONVENIRSI
(…)
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