14 agosto 2018

da “Malte Laurids Brigge” – Rainer Maria Rilke

Alexandre Brun - View of the Salon Carré at the Louvre
da “Malte Laurids Brigge” – Rainer Maria Rilke
Bibliothèque Nationale
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Ma è stato altrimenti, Dio sa perché. I miei mobili marciscono in una soffitta dove ho potuto sistemarli, ed io stesso, sì anch’io, mio Dio, non ho un tetto, e mi piove sugli occhi. Talvolta passo davanti alle bottegucce di Rue de laSeine. Venditori di roba vecchia, piccoli librai antiquari e mercanti di incisioni su rame, tutti con le vetrine piene zeppe. Non entra mai nessuno da loro. All’apparenza non fanno affari. Ma se si guarda dentro stanno sempre seduti e leggono, noncuranti. Non si preoccupano del domani, non si agitano per il successo; hanno un cane che si accuccia davanti a loro, comodamente, o un gatto che fa più grande il silenzio frusciando contro le file dei libri come per cancellare i titoli dai dorsi. Ah, se questo bastasse! Certe volte vorrei comprarmi una vetrina così piena e rinchiudermi là dentro con un cane, per vent’anni.
Fa bene a dire a voce alta: «Non è accaduto nulla». Ancora una volta: «Non è accaduto nulla». Ma giova? Che la mia stufa fumi di nuovo e che io sia dovuto uscire non si può dire una disgrazia. Che mi senta stanco e infreddolito, non ha molta importanza. Che abbia passato tutto il giorno a correre su e giù per le strade, è colpa mia. Avrei potuto benissimo rifugiarmi al Louvre. O forse no, non avrei potuto. Là va certa gente che si vuole scaldare. Si siedono sui divani di velluto e i loro piedi stanno uno accanto all’altro sulla griglia dei caloriferi, come grossi scarponi vuoti. È gente straordinariamente umile che è riconoscente se il custode nell’uniforme scura con tanti fregi la tollera. Ma quando entro io, fanno una smorfia. Fanno la solita smorfia e ammiccano un poco. Poi, quando vado su e giù davanti ai quadri, mi fissano con gli occhi, sempre con quei loro occhi torbidi e smorti. Così è meglio che non sia andato al Louvre.
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