Alexandre Brun - View of the Salon Carré at the Louvre
da “Malte Laurids Brigge” – Rainer Maria Rilke
Bibliothèque Nationale
(…)
Ma è stato
altrimenti, Dio sa perché. I miei mobili marciscono in una soffitta dove ho
potuto sistemarli, ed io stesso, sì anch’io, mio Dio, non ho un tetto, e mi
piove sugli occhi. Talvolta passo davanti alle bottegucce di Rue de laSeine.
Venditori di roba vecchia, piccoli librai antiquari e mercanti di incisioni su
rame, tutti con le vetrine piene zeppe. Non entra mai nessuno da loro.
All’apparenza non fanno affari. Ma se si guarda dentro stanno sempre seduti e
leggono, noncuranti. Non si preoccupano del domani, non si agitano per il
successo; hanno un cane che si accuccia davanti a loro, comodamente, o un gatto
che fa più grande il silenzio frusciando contro le file dei libri come per
cancellare i titoli dai dorsi. Ah, se questo bastasse! Certe volte vorrei
comprarmi una vetrina così piena e rinchiudermi là dentro con un cane, per
vent’anni.
Fa bene a dire a voce
alta: «Non è accaduto nulla». Ancora una volta: «Non è accaduto nulla». Ma
giova? Che la mia stufa fumi di nuovo e che io sia dovuto uscire non si può
dire una disgrazia. Che mi senta stanco e infreddolito, non ha molta
importanza. Che abbia passato tutto il giorno a correre su e giù per le strade,
è colpa mia. Avrei potuto benissimo rifugiarmi al Louvre. O forse no, non avrei
potuto. Là va certa gente che si vuole scaldare. Si siedono sui divani di
velluto e i loro piedi stanno uno accanto all’altro sulla griglia dei
caloriferi, come grossi scarponi vuoti. È gente straordinariamente umile che è
riconoscente se il custode nell’uniforme scura con tanti fregi la tollera. Ma
quando entro io, fanno una smorfia. Fanno la solita smorfia e ammiccano un
poco. Poi, quando vado su e giù davanti ai quadri, mi fissano con gli occhi,
sempre con quei loro occhi torbidi e smorti. Così è meglio che non sia andato
al Louvre.
(…)
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