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16 giugno 2019

Oceano mare - Alessandro Baricco

Oceano mare - Alessandro Baricco

A Sumatra, davanti alla costa nord di Pangei, ogni settantasei giorni emergeva un isolotto a forma di croce, coperto da fitta vegetazione e apparentemente disabitato. Rimaneva visibile per poche ore, poi risprofondava nel mare. Sulla spiaggia di Carcais i pescatori del paese avevano trovato i resti del vascello Davemport, naufragato otto giorni prima dall’altra parte del mondo, nel mare di Ceylon. Sulla rotta per Farhadhar apparivano ai marinai strane farfalle luminose che davano stordimento e senso di malinconia. Nelle acque di Bogador era scomparso un convoglio di quattro navi militari, divorato da un’unica enorme onda apparsa dal nulla in una giornata di piatta assoluta.
L’ammiraglio Langlais sfogliava lentamente quei documenti arrivati dalle più diverse parti di un mondo che, evidentemente, si teneva stretta la sua follia. Lettere, stralci di diari di bordo, ritagli di gazzette, verbali di interrogatori, rapporti confidenziali, dispacci d’ambasciata. C’era di tutto. La lapidaria freddezza dei comunicati ufficiali o l’alcoolica confidenza di marinai visionari attraversavano indifferentemente il mondo per arrivare su quella scrivania dove, a nome del Regno, Langlais tracciava con la sua penna d’oca il confine tra ciò che, nel Regno, sarebbe stato considerato vero e ciò che sarebbe stato dimenticato come falso. Dai mari di tutto il globo, centinaia di figure e voci giungevano in processione su quella scrivania per essere inghiottite da un verdetto sottile come un filo di inchiostro nero, ricamato con grafia precisa su libri rilegati in cuoio. La mano di Langlais era il grembo su cui andavano a posarsi i loro viaggi. La sua penna, la lama su cui si piegava la loro fatica. Una morte esatta e pulita.
La presente notizia è da ritenersi priva di fondamento e come tale è fatto divieto di divulgarla o citarla nelle carte e nei documenti del Regno.
O, per sempre, una limpida vita.
La presente notizia è da ritenersi veritiera e come tale comparirà in tutte le carte e i documenti del Regno.
Giudicava, Langlais. Confrontava le prove, saggiava le testimonianze, indagava sulle fonti. E poi giudicava. Viveva quotidianamente in mezzo ai fantasmi di una immensa fantasia collettiva dove lo sguardo lucido dell’esploratore e quello allucinato del naufrago producevano immagini talvolta identiche e storie illogicamente complementari. Viveva nella meraviglia. Per questo nel suo palazzo regnava un ordine prestabilito e maniacale: e la sua vita scivolava secondo un’immutabile geometria di abitudini che sfiorava la sacralità di una liturgia. Si difendeva, Langlais. Stringeva la propria esistenza in una rete di millimetriche regole capaci di ammortizzare la vertigine dell’immaginario a cui, ogni giorno, concedeva la propria mente. Le iperboli che da tutti i mari del mondo arrivavano fino a lui si placavano sulla meticolosa diga disegnata da quelle minute certezze. Come un placido lago, le attendeva, un passo più in là, la saggezza di Langlais. Immobile e giusta.
Dalle finestre aperte giungeva il ritmico rumore delle cesoie del giardiniere che potavano rose con la sicurezza di una Giustizia intenta a emanare salvifici verdetti. Un rumore qualunque. Ma quel giorno, e nella testa dell’ammiraglio Langlais, quel rumore recitava un messaggio ben preciso. Paziente e ostinato - troppo vicino alla finestra per esser casuale - portava l’obbligatorio ricordo di un impegno. Langlais avrebbe preferito non sentirlo. Ma era un uomo d’onore. E dunque scostò le pagine che raccontavano di isole, relitti e farfalle, aprì un cassetto, ne estrasse tre lettere sigillate e le posò sullo scrittoio. Arrivavano da tre luoghi diversi. Benché recassero i segni distintivi della corrispondenza urgente e riservata, Langlais le aveva lasciate riposare, per viltà, alcuni giorni, dove neppure poteva vederle. Ma adesso le aprì, con gesto secco e formale, e vietandosi qualsiasi esitazione, si mise a leggerle. Annotò su un foglio alcuni nomi, una data. Cercava di fare tutto con l’impersonale neutralità di un contabile del Regno. L’ultimo appunto che prese recitava:
Locanda Almayer, Quartel
Alla fine prese le lettere in mano, si alzò e, avvicinatosi al camino, le buttò nella fiamma prudente che vigilava sulla pigra primavera di quei giorni. Mentre guardava accartocciarsi la preziosa eleganza di quelle missive che mai avrebbe voluto leggere, percepì distintamente un grato e improvviso silenzio giungergli dalle finestre aperte. Le cesoie, fin lì instancabili come lancette d’orologio, tacevano. Solo dopo un po’ si scolpirono, nel silenzio, i passi del giardiniere che si allontanava. C’era qualcosa di così esatto in quel congedo che avrebbe stupito chiunque. Ma non Langlais. Lui sapeva. Misterioso per chiunque, il rapporto che univa quei due uomini - un ammiraglio e un giardiniere - non aveva, per loro, più segreti. La consuetudine di una vicinanza fatta di molti silenzi e privati segnali custodiva da anni la loro singolare alleanza.
Ci sono tante storie. Quella, veniva da lontano.
Un giorno, sei anni prima, avevano portato davanti all’ammiraglio Langlais un uomo che, dicevano, si chiamava Adams. Alto, robusto, capelli lunghi fino alle spalle, pelle bruciata dal sole. Avrebbe potuto sembrare un marinaio come tanti. Ma per tenerlo in piedi dovevano sorreggerlo, non era in grado di camminare. Una disgustosa ferita ulcerosa gli segnava il collo. Stava assurdamente immobile, come paralizzato, assente. L’unica cosa che alludesse a qualche rimasuglio di coscienza era lo sguardo. Sembrava lo sguardo di un animale in agonia.

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