Al risveglio mise in atto la più brillante soluzione concepita da mente
umana che prese corpo nel brevissimo dormiveglia che aveva preceduto la
più che meritata siesta.
Afferrò risolutamente una robusta fune, la
legò all’anello di un angolo del telone su cui era ammassato il grano,
assicurò quindi saldamente l’altra estremità ai guarnimenti del mulo a
cui aveva autorevolmente delegato la
fatica di spostare il frutto del raccolto risultato in esubero rispetto
alle sue ponderate previsioni. L’idea era di una semplicità disarmante:
il mulo avrebbe trascinato il telone, cosi il grano sarebbe stato messo
rapidamente al riparo, nel porticato antistante la casa.
Ma quello
che Peppe non aveva strappato dagli angoli bui dell’imponderabilità era
il fatto che gli zoccoli del mulo non avrebbero fatto presa sul
pavimento liscio del porticato, che il mulo sarebbe caduto fratturandosi
la zampa anteriore destra, che lo strappo violento avrebbe tirato via
il telone e che il grano sarebbe rimasto sparso nell’aia, dove in breve
sarebbero accorse le sue numerose galline e tutti i colombi della
contrada a gozzovigliare come in un antico baccanale.
L’intervento
di alcuni vicini evitò il peggio. Buona parte del grano fu raccolto e
messo al sicuro. Il mulo fu venduto, meglio dire quasi regalato, al
macello dal momento che il veterinario non aveva concesso altre
possibilità alla povera bestia.
La colpa del disastro fu attribuita
in egual misura ad Annina, alla sfortuna e al mulo. A quest’ultimo anche
l’aggravante di essersi condannato al macello e di aver prodotto un
danno alle poco floride finanze domestiche.
Peppe, travolto
dall’accanimento della malasorte, vittima ingiusta di cosi ‘codardo
oltraggio’, andò al bar nel tentativo di trovare conforto nella
distrazione. Si sedette a un tavolino appartato, quasi in penombra, dove
la sua immaginazione gli fece intravedere il profilo della sfortuna
che, nella sua mente irata, assumeva le sembianze di una donna dai
capelli arruffati, gli occhi di fuoco e il viso bitorzoluto. Sembrava la
brutta copia di Maga Magò. Con quella presenza inquietante, Peppe
ingaggiò una singolare tenzone che durò quattordici birre, nove colmi
bicchierini di Stock 84, cinque di vermouth rosso e altrettanti di
marsala all’uovo. Si smarrì nelle profondità di una buia vallata dove,
tra una strana vegetazione fatta di spighe gigantesche, scorrevano
torrenti di brandy e birra, marsala e vermouth.
Gli amici lo accompagnarono a casa dove si svegliò nel tardo pomeriggio di due giorni dopo.
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